17 Novembre 2024

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Giarre, 40 anni dopo: l’unione civile di Massimo Milani e Gino Campanella


Il 31 ottobre 2020 in occasione del 40esimo anniversario del delitto di Giarre, evento che ha segnato la storia del Movimento Lgbt+, i fondatori di Arcigay in Italia Massimo Milani e Gino Campanella tornano nel Comune del catanese per unirsi civilmente, è la prima unione civile mai celebrata a Giarre nell’autunno in cui a Roma viene discussa la legge contro l’omofobia e la misoginia.

Giarre, quarant’anni dopo: nello stesso giorno in cui nel 1980 vengono trovati Giorgio e Toni mano nella mano uccisi da un colpo di pistola ciascuno Massimo Milani (1954) e Biagio “Gino” Campanella (1946) fondatori di Arcigay, decidono di tornare nel Comune vicino Catania per unirsi civilmente e riscattare la memoria degli “ziti” vittime della violenza delle loro stesse famiglie e della società. Un evento annunciato pubblicamente a Palermo durante la manifestazione corale voluta dal Palermo Pride lo scorso giugno e che vede affetto e partecipazione da tutta Italia: l’abito da sposa di Massimo è il primo regalo, in arrivo dall’atelier More, ed è stato aperto un crowdfunding a contributo libero per chi ha espresso il desiderio di sostenere la coppia, anche da lontano.

Massimo e Gino vivono insieme da oltre quarant’anni, l’esigenza di rendere ufficiale e legale la loro unione nasce da alcuni mesi di separazione forzata la scorsa primavera: controlli medici e terapie hanno costretto Gino nel letto di una struttura sanitaria di Palermo e a causa del lockdown Massimo non ha potuto raggiungerlo per tutto il tempo. “Il nostro è un matrimonio inutile e indispensabile – spiega Massimo Milani, attualmente presidente onorario di Arcigay – È inutile, perché nulla ormai ci può separare dopo tanti anni vissuti insieme, neanche la morte, forse. È indispensabile perché per due mesi siamo stati separati e isolati l’uno dall’altro. Due mesi durante i quali Gino lottava tra la vita e la morte. Due mesi che lo hanno visto poi miracolosamente risorgere a nuova vita mi hanno fatto cambiare idea.

“Io questo uomo lo devo sposare” mi sono detta. Lo devo sposare per chiudere un cerchio, per vivere una festa rigenerante”. La cerimonia non poteva che essere organizzata in uno dei luoghi simbolo del movimento, tristemente indelebile nell’immaginario della comunità Lgbt+ e a memoria perenne di una morte ingiusta.

“Non si tratta soltanto di tenere accesa la memoria di un terribile atto di violenza – sottolinea Massimo Milani – ma anche di rendere giustizia ai due ragazzi che forse ci guarderanno dall’alto e troveranno pace e serenità, oggi che un amore tra due persone dello stesso sesso è possibile e vivibile alla luce del sole, anche se non ovunque. Crediamo sia l’occasione per riconciliarsi con Giorgio e Toni per un Paese che ha tentato di occultare e cancellare l’accaduto di quel 31 ottobre scellerato di 40 anni fa e che la riconciliazione possa passare dalla volontà di non trovarsi mai più a raccontare storie come questa”.

“Onereremo con il massimo impegno e con cordiale accoglienza la richiesta di celebrazione dell’unione civile ricevuta – dichiara Angelo D’Anna, sindaco di Giarre – Sarà l’occasione per fare il punto sull’importantissimo delicato tema legato alla conquista di diritti civili e all’evoluzione e al progresso della nostra società, processo ancora in atto e che auspichiamo possa sempre più garantire il pieno rispetto della persona e della dignità che le è sempre dovuta”.

Tante le persone che si sono proposte per sostenere la coppia in questo atto d’amore, simbolico e politico, tra questi anche la stilista e fondatrice dell’atelier di abiti da sposa “More”, Morena Fanny Raimondo che donerà a Massimo l’abito per la cerimonia.“Per me è un piacere far parte di questo evento – dice la stilista di Palermo – il mio brand è da sempre vicino e sensibile a questi temi e come designer, la mia idea di moda vede prima dell’abito sempre la persona che lo indosserà con tutto ciò che rappresenta: creare l’abito da sposa per Massimo mi dà l’opportunità di confrontarmi con una storia di grande valore per tutte e tutti noi e spero di realizzare un abito all’altezza di questi principi”.

Il regalo di nozze.

La volontà di Massimo e Gino è quella di celebrare il loro in armonia, inclusività e sicurezza, nel rispetto delle norme di distanziamento fisico imposte dal Ministero per prevenire il contagio da Covid ma che possa coinvolgere quanta più gente possibile. Per questo motivo è stato aperto un crowdfunding per consentire a chiunque lo desideri di partecipare con un contributo alle nozze di Massimo e Gino. Il link per donare è www.gofundme.com/f/massimo-e-gino-sposi.

Il delitto di Giarre, il seme per la nascita di Arcigay.

Due giovanissimi amanti, Giorgio Giammona di 25 anni e Antonio “Toni” Galatola di 15 anni vengono trovati morti sotto un pino in un campo isolato, ancora si tengono per mano ma sulle loro fronti c’è il foro dei proiettili. Le famiglie tentano di farlo apparire come un caso di suicidio ma ecco dopo diversi giorni la confessione del tredicenne, quindi non punibile, Francesco Messina, nipotino di Toni. Ma è una confessione subito ritrattata e ricca di falle e incongruenze che infine lascia il delitto senza un colpevole. La vicenda è nota in tutta l’Italia grazie ai media e diventa tema centrale di diverse manifestazioni pubbliche di protesta che si svolgono proprio a Giarre organizzate da molte associazioni e molti circoli. Tra questi manifestanti anche Massimo e Gino, che si erano conosciuti nel 1978 quando rispettivamente da Roma e Torino si trasferiscono a Palermo. All’indomani dei fatti di Giarre decidono di riempire un vuoto sociale e un silenzio mediatico che a quel punto sono impossibili da ignorare e dolorosi da vivere. Insieme a loro a dar vita al primo circolo di Arcigay in Italia Antonino De Gregorio, Eugenio Arena, Francesco Lo Vecchio, Luigi Mutolo, Giovanni Orlando, Salvatore Scardina, Vincenzo Scimonelli e Salvatore Trentacosti.

Massimo e Gino: la storia del Movimento.

Dalla fondazione di Arcigay le lotte per i diritti delle persone Lgbt+ sono passate sulla pelle di Massimo e Gino. Dalla loro bottega artigiana nel quartiere Ballarò, alle strade e fino ai palazzi istituzionali, la coppia ha celebrato e commemorato, elaborato e combattuto “contro ogni discriminazione e per l’uguaglianza dei diritti” sin dagli anni Settanta. Nel giugno del 1981 nei giardini di villa Giulia a Palermo la prima manifestazione dell’orgoglio omosessuale e, il 28 giugno del 1993, giornata internazionale dell’orgoglio Lgbt+, il primo “matrimonio” di protesta in Italia è in piazza Pretoria a Palermo: gli sposi sono Massimo e Gino, protagonisti di un rito esclusivamente simbolico in un Paese che non ha ancora aperto i registri delle unioni civili. A sposarli c’è Ernesta Morabito (ex consigliera del Pd) sotto gli occhi dei testimoni Pietro Folena e Giovanni Ferro. Alla cerimonia hanno assistito oltre 200 persone tra cui cronisti inviati da ogni parte d’Italia e la foto della coppia appare anche sul New York Times. Nel giugno del 2010 a Palermo si svolge il primo Pride della Sicilia, a villa Giulia: quasi una scommessa per gli organizzatori, reduci da diversi attacchi omofobici violenti avvenuti nel corso dell’inverno precedente, che si rivelò un successo e che ogni anno è uno degli eventi più attesi dall’intera città, inclusivo e partecipato.