Mostre
Proroga fino al 23 maggio 2021
Académie de France à Rome — Villa Médicis
Viale Trinità dei Monti, 1 – Roma
Infoline: +39 06 67611
Visite guidate tutti i pomeriggi esclusi il martedi, il sabato e la domenica.
Prenotazione online consigliata.
Per maggiori informazioni sulle fasce orarie di visita e sulle regole in materia sanitaria: villamedici.it
L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici è lieta di annunciare la riapertura e la proroga fino al 23 maggio 2021 della mostra I Peccati dello scultore Johan Creten.
Inaugurata il 15 ottobre 2020, la mostra è curata da Noëlle Tissier ed è organizzata dall’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici con il sostegno delle gallerie Almine Rech e Perrotin. Dopo tre mesi di chiusura, la mostra che inizialmente doveva concludersi a fine gennaio viene invece prorogata fino alla primavera.
La riapertura al pubblico dell’esposizione “I Peccati” è accompagnata dalla pubblicazione del catalogo in tre lingue (italiano, francese e inglese). Questo volume di riferimento offre un’immersione nell’opera di Johan Creten e include dei testi inediti degli storici dell’arte Colin Lemoine, Nicolas Bourriaud e le fotografie di Gerrit Schreurs.
Precursore, inclassificabile e controcorrente, Johan Creten (nato nel 1963) è un artista che si è distinto nel panorama artistico degli ultimi anni in quanto figura forte, enigmatica e intrigante. Dotato di una visione estremamente attuale della nostra società, egli ha saputo ritagliarsi uno spazio specifico all’interno della scena internazionale della creazione contemporanea.
Johan Creten si è distinto fin dagli anni Ottanta per l’uso innovativo della ceramica. Oggi è considerato una figura di spicco del rilancio di questo materiale nel campo dell’arte contemporanea.
Un altro aspetto della sua opera è l’uso virtuoso del bronzo nella realizzazione di sculture monumentali, di cui un importante esempio, “De Vleermuis – Il pipistrello”, è presentato sul piazzale di Villa Medici.
La mostra “I Peccati” raccoglie, per la prima volta in Italia e su tale scala, un insieme di cinquantacinque opere in bronzo, ceramica e resina, affiancate ad alcune opere storiche di Lucas Van Leyden (1494-1533), Hans Baldung (1484-1545), Jacques Callot (1592-1635), Barthel Beham (1502- 1540) e Paul van Vianen (1570-1614).
La prima sala si apre con una serie di creazioni e ri-creazioni di opere concettuali del 1986. Accanto a “The Garden” (realizzato nel 1996-97 durante la residenza dell’artista a Villa Medici) e a opere più significative come “Présentoir d’Orange” (1989-2017) e “Plantstok” (1989-2012), questa sala mette in discussione il nostro rapporto con l’introspezione e la consapevolezza di noi stessi, evocando il concetto di paradiso perduto e di tentazione.
Nella seconda sala, una nuova monumentale opera in resina “Muses et Méduses”, iniziata nel 2005 e completata nel 2019, dialoga con brani della famosa serie metonimica “Odore di Femmina” (iniziata nel 1998) sulla seduzione, l’ambiguità dei sentimenti e le relazioni umane.
Una terza sezione riunisce opere altamente politiche tra cui il bronzo “Il prezzo della libertà” (2015), “Couch Potatoes” (1997) e una nuova serie di ceramiche “Wargames” (2019).
Lungo la scalinata, si affaccia un gruppo di enigmatici bronzi a sollevare la questione della coscienza morale in una società coinvolta in un continuo movimento, in profonda mutazione. La scultura monumentale “The Herring” domina l’ultima sezione con i suoi 5 metri di altezza.
Una nuova scultura, realizzata in collaborazione con gli storici laboratori della Porzellanmanufaktur Augarten, rivisita una porcellana di Doccia ed è presentata al pubblico per la prima volta.
Diffusa in tutto lo spazio, una nuova serie di “Bolders” in gres smaltato invita il pubblico a sedersi, prendere tempo, osservare le opere per scoprirne le connessioni e immergersi in magnifici dettagli: superfici di vetro scintillanti, significati nascosti e metafore.
Johan Creten parla di “Slow art” e della necessità di un ritorno all’introspezione. Un movimento, che va dalla miniatura alle figure monumentali, che ci permette di appropriarci del nostro tempo e di immergerci in un’esplorazione del mondo con i suoi tormenti individuali e sociali, per un viaggio pieno di sorprese ed emozioni.
Le sculture di Johan Creten, realizzate tra il 2019 e il 2020 appositamente per la mostra attualmente in corso a Villa Medici, si aggiungono alle opere che scandiscono la sua carriera dagli anni Ottanta a oggi, e sono qui abbinate a stampe, arazzi e bassorilievi del XVIe XVIIe secolo appartenenti alla sua collezione personale. Queste opere storiche scelte dall’artista sono veri e propri riferimenti nel suo processo creativo, che rivelano le sue preoccupazioni dal punto di vista artistico, storico, politico e filosofico.
L’intreccio di queste opere all’interno dell’esposizione stravolge la nostra percezione da molteplici punti di vista, che dal passato mettono in discussione il futuro della nostra umanità.
Con Johan Creten, i peccati non sono sette di numero. Sette, questa cifra implacabile, pari al numero dei sacramenti nella Bibbia e dei colli di Roma. Qui, i peccati sono infiniti e illimitati, inesauribili. Non sono numerabili, ma solo designabili. I peccati non sono tutti capitali, essi possono essere imperiali, imperiosi, periferici, insidiosi, insignificanti, invisibili. Sono sempre al disotto del calcolo e del linguaggio.
I sette peccati capitali valgono poco a confronto della bassezza, la barbarie, la noia, la mutilazione, il rimpianto, la melanconia ed il terrore, in breve, la vita. Così, le sculture di Johan Creten non hanno nulla a che vedere con la morale o la sanzione, la ghigliottina o la censura. Esse parlano dei peccati, parlano della vita che infonde desiderio e dolore, speranza e pena, lussuria e collera, amore e morte, Eros e Thanatos.
Parlano della vita anfibia, tra Stige e Paradiso. Parlano della vita pulsionale, quando i cuori battono, quando i serpenti si attorcigliano, quando si spiegano le ali, quando si aprono le vulve, quando si sposta la tenda ed appare infine la verità nuda, quella Medusa ipnotica.
Il peccato non sarà poi in fondo la forma stanca della purezza? Non indica forse la nostra condizione di uomini estremamente fallibili? Il peccato non è forse, per riprendere le parole di Victor Hugo, una meravigliosa “gravitazione”?
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