21 Novembre 2024

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Pandemia: sono le donne a pagare il prezzo della difficile conciliazione tra famiglia e lavoro

Indagine del Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia

dell’Università Cattolica che sarà presentata giovedì 4 febbraio

Milano – C’è un aspetto che l’emergenza sanitaria da pandemia ha reso ancora più visibile: quanto sia forte l’«intreccio» tra famiglia e lavoro. A causa del massiccio ricorso a diverse forme di smart working, i confini sono diventati ancora più permeabili di quanto non lo fossero già per effetto delle nuove tecnologie. Chi ne ha risentito di più sono le donne, che hanno dovuto farsi carico in modo ancora più consistente della cura dei figli e della casa. Rispetto agli uomini, hanno accusato evidenti segnali di stanchezza e di fatica nella gestione del livello di stress accumulato in questi mesi. In particolare, se nel primo lockdown mostravano una più elevata capacità di affrontare l’evento stressante, da luglio a dicembre hanno mostrato una pericolosa riduzione di questa attitudine.

È quanto emerge dai primi risultati dell’indagine Conciliare lavoro e relazioni ai tempi del Covid-19”, a cura del Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, realizzata nel periodo dell’emergenza sanitaria (da marzo a dicembre 2020) seguendo in diverse fasi dell’epidemia un gruppo di lavoratori – 306, di cui l’83.3% composto da donne, il 66.7% da sposati o conviventi, il 70.9% con figli, il 61.3% da lavoratori dipendenti – per monitorare i cambiamenti nei livelli di benessere e di conciliazione tra famiglia e lavoro.

Un’anteprima dell’indagine sarà illustrata durante il webinar “La conciliazione famiglia-lavoro ai tempi dell’emergenza sanitaria: intrecci possibili o impossibili?”, in programma giovedì 4 febbraio sulla piattaforma Webex dalle ore 17.00 alle 18.30 (a questo link; qualora richiesta, inserire la seguente password: GjaGNG4Hp45), che sarà anche l’occasione per presentare il volume a cura di Claudia Manzi e Sara Mazzucchelli dal titolo Famiglia e lavoro: intrecci possibili. Studi interdisciplinari sulla famiglia, (Vita e Pensiero). “L’emergenza sanitaria ha profondamente trasformato la vita delle persone sia dal punto di vista familiare e delle relazioni significative, sia lavorativo, modificando in maniera sostanziale il rapporto tra questi due ambiti significativi per la definizione dell’identità della persona adulta: famiglia e lavoro”, osserva Sara Mazzucchelli, docente di Psicologia dei processi organizzativi e culturali.

Oltre alle autrici, dopo i saluti iniziali di Camillo Regalia, direttore del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica, e di Barbara Falcomer, direttore generale Valore D, interverranno Claudio Lucifora, docente di Economia Politica in Università Cattolica, Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale Istat, Francesca Rizzi, Ceo & Cofounder, Jointly – Il welfare condiviso. Modererà Stefania Aloia, caporedattore centrale, la Repubblica.

“Le relazioni familiari sono state profondamente toccate e sfidate: privata della reticolarità supportiva che la contraddistingue, la famiglia nucleare si è trovata ad affrontare la sfida di prendersi cura dei membri malati o disabili, accudire i figli, supportarli nella didattica a distanza e contemporaneamente proseguire l’attività lavorativa”, sostiene la professoressa Mazzucchelli. “La ripresa di scuola e asilo in presenza ha portato certamente a una situazione di maggior respiro ma, per tutelare i nonni, molte famiglie hanno preferito continuare a occuparsi in via pressoché esclusiva dei figli, con evidenti problemi di conciliazione”.

“L’indagine svolta in questi mesi mostra come la conciliazione sia un problema serio, che si è accentuato durante l’epidemia, facendo emergere livelli elevati di conflitto tra i due ambiti”, spiega Claudia Manzi, docente di Psicologia sociale. Eppure “dalla nostra esperienza di ricerca e dalla letteratura interdi­sciplinare sul tema emerge chiaramente che vita lavorativa e fami­liare si innestano in un complesso intreccio. Bisogna andare al di là degli stereotipi, abbandonando una visione parcellizzata e riduttiva del lavoratore per lasciare spazio a uno sguardo che lo osservi a 360 gradi, ne consideri i vissuti personali e lo sostenga in tutto sia nei progetti lavorativi sia in quelli esterni all’attività di lavoro”.