Per ogni stagione che riparte da un teatro della nostra affaticata Catania, si tira un sospiro di sollievo rispetto alla paura degli ultimi due anni, alle illusioni e disillusioni causate da scelte chissà forse non proprio necessarie.
La XIII stagione del Brancati, sempre salotto di commedie brillanti che ammiccano alla tradizione portando a teatro buon umore e cultura, apre con Antonio Grosso ed Antonello Pascale, una coppia di attori napoletani affezionati a Catania e che la nostra città ama. Il loro lavoro “Minchia, signor tenente“, ha all’attivo oltre 400 repliche. Prolifichi pure durante la chiusura, hanno ideato una web serie intitolata “Il Boss del Teatro”, andata in onda su Youtube; e “I soliti Ignoti” di cui Antonio Grosso cura l’adattamento teatrale insieme a Pier Paolo Piciarelli, con protagonisti Giuseppe Zeno e Vinicio Marchioni. Tornati al Brancati dopo tre anni: nel 2018, avevano portato in scena “Venerdì 17, due preti di troppo”, commedia agrodolce sull’impegno di due preti in un quartiere difficile di Napoli, omaggio a Don Puglisi e Don Diana.
La nuova commedia intitolata “Il Piccolo Principe, in arte Totò” è un tributo alla maschera più grande di tutte, ad un uomo che fu magnifico ed indimenticabile come attore e come persona: il grande Totò, nato Antonio Clemente e riconosciuto poi col cognome del padre, Antonio De Curtis. Deliziosa ricostruzione degli anni quasi inediti della vita pre-trionfo cinematografico, risalendo dai ricordi bui degli ultimi giorni di vita dell’attore che torna a Napoli in nave, di rientro da una visita specialistica agli occhi, racconta di un Totò con un volto ancora simmetrico, delle monellerie nel quartiere “Sanità”, vigilato da una madre fin troppo presente ed a volte non incoraggiante e collaborato in ogni iniziativa dal cugino vicino d’età. La poca voglia di frequentare la scuola, l’arruolamento, il ritorno dalla guerra, i provini, le imitazioni di Gustavo De Marco, la povertà che lo privava della possibilità di acquistare anche un biglietto del tram. Tentativi spiazzati dopo poco e l’allontanamento dalla amata Napoli che tanto lo aveva deluso e inizio dunque di una carriera in teatro nello spettacolo di varietà. Ma lunga fu la gavetta che infine non lo portò al teatro che era la sua vera dimensione, quella alla quale progettava di tornare, magari con l’amico Peppino De Filippo, se la cecità prima e la morte poi non lo avessero fermato.
<<Durante la mise en espace>> – dice Antonio Grosso – << io sono il giovane Totò, mentre Antonello interpreta i vari personaggi che incontra sul suo cammino, dagli amici, i parenti, il popolo che anima le strade del famoso quartiere de la Sanità dove lui stesso è cresciuto, gli amori e le delusioni, gli artisti che ha conosciuto, gli impresari teatrali ed i commilitoni con cui è partito soldato per servire la patria. La pièce, con vari inserti musicali e canzoni popolari del tempo, nonché una canzone originale scritta da me e Antonello. E per raccontarne le prime mosse nella vita e nel mondo della recitazione ho avuto la fortuna e l’onore di poter contare su Elena De Curtis, nipote di Totò e sono stato felice di avere la benedizione della famiglia»>>
Gli attori, anche autori e registi, ancora una volta compiono il prodigio di coinvolgere, di destare emozione per un teatro dinamico che anima vecchi copioni e ci consegna il lato B di storie di cronaca, vite famose; non si commentano pause ed allentamenti di tensione, se non quelli contemplati per esigenze di narrazione. Antonio Grosso ed Antonello Pascale riescono a mio parere a rendere con evidenza una peculiarità dell’uomo/attore che fu Totò, ovvero malgrado le sequenze siano vivaci brillanti, si avverte sempre dall’inizio alla conclusione quella nota di malinconia, condizione costante in cui egli si trovò tutta la vita, che non lo abbandonò mai, malgrado il ribaltamento di sorte, la medesima dolce ed incompresa tristezza che scorre nelle vene di Napoli, città dalle innumerevoli contraddizioni.
Antonio Grosso interpreta Totò trasformando completamente il proprio corpo, non con artifici estetici, bensì col solo ausilio di una bella interpretazione. Totò giovane vive in lui: prende i suoi abiti, le sue mosse, gli smonta la mandibola, gli storce il naso e percorre la spina dorsale facendolo diventare macchietta, burattino, occhi in cui la luce si spegne, cervello che ancora progetta, cuore che comincia a perdere i suoi battiti.
Antonello Pascale è il compendio di tutti i personaggi terzi, quelli che percorreranno con Totò quel pezzo di vita: la madre ed il cugino/fratello, il capocomico di svariate compagnie; persino il treno che corre sui binari utilizzando soltanto il tamburello. Antonello si muove come un’anguilla inafferrabile, mutando da un tipo ad un altro con un uso magnifico della voce e con piccoli dettagli, intuitivi di una caratteristica o di una circostanza.
L’intesa sul palcoscenico è perfetta, l’uso degli spazi, incredibile: in un arredamento vuoto/pieno, fatto di abiti sospesi, come intenzioni, progetti ancora da definire, si dividono il palco, come a tratteggiare la separazione fra un tempo ed un altro, quello che dalla fame portò Totò alla fama. E lasciano una porta aperta: verso tutto ciò che sarebbe stato da lì in poi e di cui non si perde memoria e verso il mito che sarebbe sempre sopravvissuto a qualsiasi epoca, contrariamente a quanto Totò dicesse.
«Quella di Totò – racconta ancora Antonio Grosso – è una sorta di favola. Una di quelle che potrei raccontare a mia figlia. E invece fu tutto vero: c’era questo bambino e giovane povero che conquistò il mondo con la sua arte».
Il piccolo principe in arte… Totò
Scritto e diretto da Antonio Grosso
con Antonio Grosso e Antonello Pascale
Costumi, Marco Maria della Vecchia
Foto di Dino Stornello
E’ stato al Teatro Brancati dall’11 al 21 novembre …e piccolo/grande omaggio a Ciro…
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