Permettete la parentesi:
Esistono gli ottimi registi e “i registi”. Esistono gli ottimi attori e “gli attori”. Ma quando chi è bravo collabora con chi è bravo, salta fuori qualcosa di meraviglioso. A chi si ostina ancora a credere nella non-stupefacenza del realismo italiano, io dico che è un “povero di spirito“. Si prenda come esempio Paolo Sorrentino, probabilmente il maggior esponente contemporaneo di tale genere cinematografico. Sorrentino è regista selettivo. La sua selezione parte dalla seguente domanda: “l’attore che ho davanti a me è un attore più da cinema o più da teatro?” Se la sua risposta è “da teatro”, allora significa che quell’attore è adatto per uno dei suoi film. È così fu per Renato Carpentieri (il professor Robert Schuster in “Piazza degli eroi”), apparso nella recentissima pellicola di Sorrentino,“È stata la mano di Dio”. Film in cui è apparsa Betti Pedrazzi, anche lei presente ieri sulla scena di teatro, guarda il caso!
Parentesi terminata.
In “Piazza degli eroi” di Thomas Bernhard, tradotto da Roberto Menin, con la regia di Roberto Andò, si deduce facilmente come Renato Carpentieri fa da eco al brivido generato dal grande realismo italiano. La performance dell’attore campano spicca sulle altre. Sia perché, tra tutte le maschere, la sua è stata quella con più battute, sia perché i contenuti da lui esposti sono quelli che rimangono più impressi nella mente.
“Piazza degli eroi”, un’opera che non è mai stata rappresentata in Italia, va per la prima volta in scena a Torino, sul palco del Teatro Carignano, dal 25 al 30 gennaio 2022. “Piazza delgli eroi” è una storia vera, antisemita, ricca di amare verità, politiche e non. È la storia di un’Europa post-Hitler, traumatizzata ancora dal possibile ritorno fascista e nazista, nonostante sia ormai giunto il 1988 e siano passati quasi 50 anni dagli immondi totalitarismi.
L’opera vede in scena tanti attori, come Betti Pedrazzi (Signora Schuster, la vedova), Paolo Cresta (Lukas), Francesca Cutolo (Olga), Silvia Ajelli (Anna), Stefano Jotti (Signor Landauer), Valeria Luchetti (Herta), Vincenzo Pasquariello (Pianista) ed Enzo Salomone (Professor Liebig). Tutti attori difficili da giudicare dato l’esiguo numero di battute. Più spazio, invece, ha avuto Imma Villa (Signora Zittel), a cui è stata affidata la prima parte dell’opera, quando confessa, nel monologo iniziale, il suo rapporto particolare col professor Schuster e la cui morta suicida ha dato il via alla rappresentazione.
Nonostante le bellezze del realismo italiano, con l’opera di Bernhard, non siamo in Italia, ma a Vienna. Città ancora tediata, come dicevo, dal fantasma nazista che accomuna, purtroppo, anche certe passate realtà politiche italiane.
Che luogo è “Piazza degli eroi”? La Heldenplatz (la “Piazza degli eroi) è la piazza del complesso dell’Hofburg al centro di Vienna. Lì, durante il nazismo, nel 1938, Hitler annunciò l’anschluss (l’annessione) dell’Austria al Terzo Reich. Tale piaga, come si vede bene nel finale con la Pedrazzi, annienta l’aspettativa di un futuro libero dall’oppressione. Gli Schuster, essendo ebrei, vivono costantemente i traumi passati del loro popolo, specialmente se si considera il fatto che essi hanno preso casa proprio sopra questa piazza.
Di tale malcontento ne è un esempio il ricordo negativo di Anna e della sorella Olga, figlie del professor Schuster deceduto, quando dei viennesi nazisti hanno sputato sui loro vestiti perché ebree. La famiglia, speranzosa di trovare un’Austria diversa rispetto a 50 anni prima, si è illusa. Non c’è alcuna ripartenza illuminista, né per Vienna né per l’Europa intera. Non si riesce a togliere la macchia nazi-fascista. Perché, allora, essi sono “sono tornati a Vienna”?
Purtroppo,“gli ebrei ovunque vanno in Europa li odiano tutti”, dice il professor Robert, fratello vivo dello Schuster morto. L’Europa, purtroppo, non ripartirà. Vienna non ripartirà. Bisogna andarsene, perché tornare è stato un errore! Ma perché Vienna è ancora così? Perché il fascismo non è mai andato via. Esso vive nei sotterrannei di una mascherata qual è, sempre secondo lo Schuster vivo, il socialismo attuale.
Non si può negare il parallelismo con la situazione governativa di altri popoli. I problemi di Vienna, infatti, non hanno confini marcati: populismo, “destra imbrogliona”, “sinistra senza carattere”, anti-cultura, “pseudosocialismo”, ecc., sono temi ricorrenti e universali. Pertanto, qualcuno si domanda, cosa ha causato il suicidio del professore Schuster? Il fratello Robert prova a rispondere.
Durante il suo monologo, nella scena centrale dell’opera, dopo il funerale del fratello, egli riflette chiedendosi “che mondo è quello che viviamo“? Dove “tutto è in rovina”, dove vige una “megalomania pseudosocialista”, dove “la gente non legge più” e preferisce “la melma” perché questa “fa sensazione”. Che mondo è? È un mondo dove il populismo si nutre di tale sensazione, di falsi idoli.
Renato Carpentieri impersonifica l’intellettuale, Robert, avanti con l’età, che ha usato gli strumenti che gli sono stati concessi (la filosofia) e, a differenza del fratello che ha ceduto, egli ha resistito alla vita. Tuttavia, Robert ha capito che ribellarsi non è più sufficente. Ribellarsi, infatti, non porta a nulla, se non alla morte, al suicidio (del fratello) e alla fine di una cultura. “C’è un solo traguardo: non esistere più”. Sarà vero?
Dilaniante e sconvolgente il finale. Con musica e suoni roboanti, si richiama alla memoria la marcia militare di Hitler del 1938 e si rappresenta il segno di un’istabilità mentale, quella della signora Schuster (Pedrazzi) che impazzisce contemporaneamente all’imperversare della marcia. Tale marcia è sempre più vicina, mano a mano che il volume delle casse del teatro aumenta.
Contemporaneamente al crescere dei rumori e delle voci tedesche, la Schuster pensa che non sarà in grado di sopportare una vita decisa da altri, una vita succube di un totalitarismo che si riproduce nel privato, quando la famiglia la vuole trasferire nella casa in campagna. No, lei non ci sta ed esplode, in un boato frastornante che fa tremare persino la tavola, durante l’ultima cena viennese. In questo modo finisce la rappresentazione, d’improvviso, con una pièce che non ti aspetti!
Riflettendo nuovamente sul gesto suicida del deceduto Schuster, si comprende come egli si tolga la vita perché non riesce ad accettare la costante menzogna che la vita presenta. Tale bugia, tuttavia, non vede colpevole SOLO lo Stato, ma il Sistema-Stato, fatto da chi lo governa e da chi lo popola. Se chi governa, infatti, è abbindolatore, perché utilizza strumenti quali il populismo, allora chi lo popola è anche colpevole, in quanto è abbindolato/abbindolabile.
Tale ingenuità nasce da un’insufficente formazione culturale: se si sceglie “il giornalaccio” piuttosto che il “giornale autorevole”, come spiega il fratello vivo, allora emerge il populismo e il fascismo ritorna. Quando si sceglie “l’emozione alla ragione” si è vittime di populismo. Dove c’è populismo, dunque, c’è fascismo…e “tutti i partiti sono populisti!”
I fantasmi ritornano.
La piazza pubblica è un luogo di ritrovo e di confronto, di dialogo e di rivolte. Tuttavia, tale luogo è in ogni città del mondo e non solo a Vienna. Gli “eroi” di questa “piazza degli eroi” non devono alimentare una rivolta inconcludente, figlia di stranezze pseudosociali. La rivolta deve puntare al bersaglio col giusto “mezzo”. La rivolta deve diventare una catastrofe sibillina per i governanti: una marcia muta, fatta di scelte ponderate: “perché non provate a domare migliaia d’intellettuali!?”
Nonostante il valore utopico di certe affermazioni, solo dalla disintossicazione populista potrà risorgere “la fenice” della vera democrazia.
di Emiliano Sgroi
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