E’ in corso presso lo spazio espositivo del Centro d’arte e cultura Leonardo da Vinci in via Verdi 7 di Bari-S.Spirito la mini-mostra personale dell’artista molisano (di nascita) e barese (di adozione) Prof. Antonio Laurelli.
“ L’approdo” – questo il titolo della mostra, che s’inserisce nell’ambito della rassegna Arte in vetrina promossa ed organizzata dall’Associazione con la curatela dell’artista Leonardo Basile – propone la visione di 5 opere pittoriche su tela su un tema particolarmente legato al territorio : il mare.
Antonio Laurelli, molisano di Isernia, è nato il 23 gennaio del 1943; vive e opera a Bari, città in cui ha insegnato presso il l’ Istituto Statale d’arte Federico II ” Stupor Mundi” di Corato e il Liceo Artistico Statale ” G. De Nittis” del Capoluogo. Ha partecipato ad innumerevoli mostre e ricevuto premi (fra i tanti si ricorda il “Carlo Levi”, attribuitogli per la notevole professionalità artistica e per l’impegno civile nella società meridionale).
“Antonio Laurelli – scrive A.Picariello – sfoga esperienza costruttiva dalla fusione delle immagini mentali all’accorpamento materico , scioglie il meticciato delle forme pittoriche in assemblaggi grammaticali della sostanza oggettivale: il precedente “ricercare” del colore (tipico della pittura) rientra a pieno merito nella costruzione studiata, nell’equilibrio fisico degli “assestamenti compositivi”, per urlare visionarietà storica, passaggi geometrici che fondono, al centro, il cuore indeterminato degli elementi ordinati atomici e incommensurabili nucleari. Il mondo della cultura materiale si rigenera a nuova vita. Il fluido della “chimica inerziale” rianima, attraverso la composizione calcolata dell’espressività e del nuovo linguaggio ambientale, la nuova propulsività dando scorrimento di senso, vitale e continuativo, agli oggetti d’uso del comportamentismo umanitario, rinvigorendoli di nuova funzionalità e di forza rinascimentale che si concretizza tra l’accoppiamento, empatico e sensibile, del dimesso (deposto e accomiatato) e l’innovativo. Macchine (automobili “precedentemente vive” nelle azioni, adesso gelate nella funzione e nell’anima) accatastate nel deposito degli oggetti “fuori uso” si rinominano nel linguaggio delle performance e degli assemblaggi, antichi strumenti industriali rimontano il loro stabilito destino con la sensibilità del compositore narrativo; gli oggetti parlano, Laurelli gli rimette la voce, il suono l’armonia degli accostamenti, della compenetrazione tra archeologico materiale e nuova “arte ambientale” (..)
“La grande meraviglia nella pittura di Laurelli – scrive invece A. Pasolino – è nella sua «tecnica» volta alla comunicazione. Tecnica precisa, chiara, legata direttamente alle sue idee e alla rivelazione e rappresentazione dell’ «oggetto», la nostra immaginazione si incammina per vie piuttosto impervie verso la ricostituzione di questo oggetto. Il viaggio dell’umana fantasia è ricco di inaspettati incontri e possibili approdi, ma inutilmente: l’approdo ci è vietato. L’accanimento e l’impegno per conquistare l’oggetto si ripetono fino all’inquietudine più si ripetono, più il desiderio aumenta tanto più l’oggetto si allontana. Una continua metamorfosi trasforma l’immagine che via via svanisce, che l’artista Laurelli ami l’oggetto-pittura lo si capisce dalla cura, dalla chiarezza tecnica che usa nel renderlo. L’oggetto rimane misterioso, imprendibile. Questa condizione fa venire in mente Kafka, Kafka della «metamorfosi» e del «castello»; l’irrangiungibilità di un possesso completo, totale di una «cosa», che Laurelli avesse nella sua pittura una vena surreale lo si capiva: un surrealismo non dell’inconscio irrazionale, automatico ed oscuro, ma limpido, pausato, logico, razionale, costruttivo, dunque un linguaggio storico che va dal post-cubismo all’espressionismo, dal gesto al segno. Una pittura che viene dalla storia e dalla tradizione; una cultura umanistica ed illuministica, certamente contaminata dalla macchina come lo fu per i futuristi, senza però i loro echi romantici. Un innesto con la macchina che ha causato, comunque, in Laurelli, un inquietante sorta di alienazione dall’oggetto. Una crisi della cultura tradizionale che provoca il distacco tra senso e pensiero (..)
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