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“Per un sì o per un no è quel nulla che può cambiare tutto, quel nonnulla che provoca lacerazioni profonde, ferite insanabili.“
Di Nathalie Sarraute, scritto per la radio nel 1981, rappresentato in teatro nel 1986.
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi;
con Umberto Orsini e Franco Branciaroli;
produzione Compagnia Orsini e Teatro de Gli Incamminati in collaborazione con Centro Teatrale Bresciano.
Foto di Antonio Parrinello.
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Nathalie Sarraute, una scrittrice nata nel 1900 che ha narrato di cose che continuano ad accadere; Pier Luigi Pizzi, un regista pluripremiato, classe 1930; Umberto Orsini e Franco Branciaroli affatto lontani da pose plastiche e comode, si muovono in lungo, in largo e pure in alto salendo su sedie e tavoli, all’occorrenza della scena, con una disinvoltura che fa dubitare sulla veridicità delle loro date di nascita. A dire il vero, anche il loro fisico asciutto stupisce e desta ammirazione. Semmai qualsiasi critico o sedicente tale volesse appropriarsi della libertà di commentare la prestazione di questi due magnifici animali da palcoscenico e volesse indugiare alla ricerca di una défaillance, una interpretazione non pertinente, cascherebbe assai male, non fornendo essi neppure un filo di capello con cui torcergli il collo.
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L’ idea scenica appartiene allo stesso regista che come scenografo e costumista avviò la propria carriera: egli ha previsto due colori nettamente opposti come il bianco ed il nero. Il nero delle pareti lavagna, degli abiti dei protagonisti; il bianco delle alte librerie con lunghe file di libri, delle poltrone Wassilly (Marcel Brauer, 1926), e di una Martinelli luce ruspa 4 (Gae Aunt, 1968). Una tenda bianca che si raccoglie a pacchetto su una finestra che tenta lo sfogo verso l’esterno di ogni reazione; Il bianco dei gessetti con cui verranno scritte le parole “degnazione” e “geloso”. Al centro, un elemento sgargiante, un divano moderno di un colore rosso sangue.
Le nette separazioni delle elucubrazioni del padrone di casa (Umberto Orsini), reticente sulle prime a voler accontentare le curiosità dell’amico (Franco Branciaroli) a cui da tempo non si palesa. Ambiente arredato con lusso e ricercatezza, privo di sfumature, forse come il carattere di chi lo abita che accusa infine l’altro di essersi comportato in modo affabile e compiacente, come verso non un proprio pari, bensì un inferiore. Inferiore per scelte professionali e familiari, non diverse ma non come le sue… Una frase risposta come apparente e casuale intercalare di un discorso di consueta confidenza viene chirurgicamente scomposta per giungere infine alla dimostrazione che, benché l’affetto di storica data leghi i due uomini, invero essi hanno prodotto nelle proprie esistenze le stesse energie emotive.
Natalie Serraute, avvicendandosi fra le identità morali di Fedor Dostoevskij e l’alienazione angosciosa di Franz Kafka, ha a lungo vissuto (è morta all’età di 99 anni il 19 ottobre del 1999) e scritto sperimentando l’importanza delle parole nel “non discorso” che i personaggi dei suoi “anti-romanzi” elaborano alla ricerca di un cavillo dialettico, spinti non da una coerenza bensì da un tropismo, ovvero quel comportamento generato dall’impulso del momento causato da un fenomeno non sempre identico.
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In “Per un si o per un no“, i due amici non hanno un nome come spesso accade nei romanzi della scrittrice francese di natali russi e origini ebree: sono essi stessi megafoni, ripetitori di parole delle quali ricercano i più spettrali significati, arrivando addirittura a fissarle sulle pareti. Orientati in momenti diversi verso una reazione, come girasoli a seconda della luce che li stimola.
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Umberto Orsini e Franco Branciaroli non hanno compito facile in un contesto tanto contrario ad ogni cliché narrativo: eppure abbandonano lo sviluppo del personaggio e si concentrano sulla responsabilità di asservirsi alla parola per spiegare ciò che “non accade”. Essi stessi parte della scenografia, si aggirano fra gli elementi scelti per arredare il palcoscenico e rendere la ricerca stilistica dell’autrice, eccependo un’unica pausa, quella alla finestra sui cui vetri finalmente si rimandano le loro immagini, quasi a prendere consistenza; cornice aperta fuori su un mondo che si lascia andare al suono di una musica allegra….”dove guardo, là è la vita”…l’unica riflessione personale da cui quasi subito fuggono per orientarsi verso l’ennesima emozione passeggera e polemica. Infine, laddove sembra essere calato il sipario della chiarezza, completato il percorso diffamatorio, archiviati i patimenti, quando l’uno si rilassa ed assopisce sul rosso sofà, l’altro forse no…
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