Venezia 1600.
Perle, rubini, smeraldi e brillanti ad impreziosire uno dei simboli più noti della Serenissima: il corno ducale. E fu proprio una donna, Agnesina Morosini, badessa del potente monastero di San Zaccaria, ad impreziosire questo copricapo di origine bizantina – che da sempre rappresenta la magnificenza, il potere e il prestigio di una Repubblica che ha visto susseguirsi ben centoventi dogi – con la “zogia”, ovvero la pubblica corona, una sorta di diadema quale segno distintivo della sovranità del doge.
Secondo la tradizione, nella Pasqua dell’864 Agnesina Morosini offrì in dono il suo corno al doge Pietro Tradonico, durante una delle visite del massimo esponente della Repubblica Serenissima al monastero di San Zaccaria, accompagnato dalle massime autorità come la Signoria, i Senatori e gli Ambasciatori.
Una storia che affonda le sue radici negli ultimi decenni del IX secolo, quando, papa Benedetto III, costretto a lasciare Roma per fuggire alla violenza dell’antipapa Anastasio avrebbe concesso l’indulgenza e donato alla chiesa di San Zaccaria le reliquie di San Pancrazio martire e di Santa Sabina Vergine. Per venerare tali reliquie, il doge Pietro Tradonico stabilì di recarsi al convento ogni anno nel giorno di Pasqua. Felice della decisione, la badessa Morosini offrì al doge un preziosissimo regalo: un corno ducale dalla forma simile a quella in uso, ma trapuntato di fili d’oro e adornato di ventiquattro perle, un grosso rubino e una croce formata da ventotto smeraldi e dodici brillanti. Per la sua bellezza ineguagliabile questo copricapo fu chiamato zogia, cioè gioiello.
La zogia accompagnava sempre il Doge nelle sue visite ufficiali, alcune delle quali di antichissima consuetudine come la processione di Pasqua, quella del Corpus Domini, la visita alla Salute, al Redentore e a San Zaccaria, volta a consolidare i rapporti tra il governo della Repubblica e le istituzioni religiose.
Un oggetto che nella storia di Venezia, lunga 1600 anni, ha avuto diversi nomi: biretum, corona, corno o zogia. E che variò anche nel tessuto con cui venne confezionato: dal panno scarlatto, al damasco, dal velluto cremisi, al tabì bianco, dalla seta agli ornamenti in pelle, ma fra tutti, il più prezioso resta indubbiamente quello della monaca Agnesina Morosini.
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