Era l’11 maggio, una serata come tante se mia madre non avesse subito un intervento chirurgico due giorni prima e non ci avesse detto la fatidica frase: “Non mi sento bene, ho freddo. Ma… mi sta vininnu a frevi?”
Ebbene sì, la sua temperatura corporea stava davvero subendo dei mutamenti puntando dai sui 35,6 gradi verso su, sempre più su.
Abbiamo pensato fosse legato al fatto che in sala operatoria avesse preso un po’ di freddo e abbiamo chiesto un consulto medico. Sembrava tutto normale, allora sarà stato “un colpo d’aria”.
Il giorno seguente, eccoci al dunque… tampone fai da te con esito positivo (ma dove te lo sarai beccato mai?!) E da lì un divenire. Siamo venuti tutti giù come pedine di una scacchiera. Mio padre, a seguire io e mio marito.
Mio padre, che ha ben 83 anni, è stato molto male. Ho dovuto chiamare i medici dell’Usca dell’spedale S. Elia che, nonostante non toccasse a me fare la segnalazione, non hanno buttato giù il telefono ma, al contrario, si sono materializzati nella nostra casa in tempi record. Mi hanno stupita, in bene chiaramente. In pochissimo tempo due dottoresse sono venute a visitare mio padre, fare i tamponi e a spiegarci come affrontare la situazione. Questo nella stessa mattinata della mia chiamata e nel pomeriggio abbiamo iniziato a ricevere le chiamate per monitorare la situazione dei due “vecchietti” di casa perché anche mia madre ha avuto problemi di ossigenazione (come mio padre che ha rischiato l’ospedalizzazione) e svariati altri problemi come quelli che ci hanno accomunato un po’ tutti e cioè mal di gola lancinante, stanchezza, dolori muscolari, emicrania, dolori alle ossa. Non riesci nemmeno a reggerti in piedi, sig!
Il Covid non è per niente una semplice influenza, si sta male, parecchio male tranne che non si abbia la fortuna di prenderlo da asintomatico.
In tutto questo, però, c’è una nota positiva. Infatti, se la nostra avventura, lunga 15 giorni, si è conclusa nel migliore dei modi dobbiamo dire grazie a chi ci ha assistiti con una continua e costante presenza.
Le cure prescritte hanno fatto il loro dovere ma anche l’amore che questi giovani medici mettono nel loro lavoro e nel trattare i loro pazienti è stato di fondamentale importanza.
Ci ricordiamo tutti quando i medici che si sono occupati del Covid, nei primissimi tempi, venivano chiamati Angeli? Ora so il perché.
E ci ricordiamo, sempre, tutti che questo termine nei loro confronti non lo usiamo più? Ad onore del vero l’appellativo Angeli (la A maiuscola è stata usata volontariamente) non lo trovo poi così scorretto anzi è ampliamente applicabile.
Giuliana, Marco, Vincenzo, Alessio, Martina e Federica (uso volutamente solo i nomi) sono stati il nostro punto fermo. Sono stati questi Angeli a venire a casa nostra per le visite, a indicarci quali medicine e come prenderle, sono stati questi Angeli ad insegnarci a misurare i parametri vitali, sono stati questi Angeli a medicare mia madre… sono stati questi Angeli che ogni mattina e ogni pomeriggio, fino a quando la situazione non è tornata alla normalità, hanno fatto squillare il nostro telefono. E’ stato fondamentale sentirsi dire dall’altro capo del filo (licenza poetica, chiamavano al cellulare): “Sono il medico dell’Usca”.
E’ stato davvero essenziale. Quando stai male, sei alle prese con qualcosa che non conosci, che ti fa paura, che pensi possa degenerare e sfociare in situazioni poco piacevoli (chiamiamole così e prendiamola alla larga) avere qualcuno che è pronto a darti un consiglio, a dirti cosa e come fare una cosa piuttosto che un’altra, che ha sempre una parola di conforto è semplicemente meraviglioso.
Ho voluto raccontare l’esperienza “covidiana” mia e della mia famiglia (sperando di non doverla mai più vivere) non solo per dire a tutti noi di non abbassare la guardia perché questa brutta bestia c’è, perché riesce ancora a fare danni, perché voglio testimoniare che le conseguenze post non sono da sottovalutare ma anche, forse soprattutto, perché voglio ringraziare pubblicamente insieme alla mia famiglia i dottori Giuliana Iannì, Martina Falzone, Federica Giordano, Marco Di Benedetto, Vincenzo Macaluso e Alessio Terrana.
Voglio ringraziarli, vogliamo ringraziarli, ed esprimere loro una profonda stima e un grande rispetto.
Sono tutti, nessuno escluso, giovani medici capaci e attenti. Sono ragazzi che non ti negano mai un sorriso e una parola di conforto. Sono giovani intelligenti e brillanti, affettuosi con chi nemmeno conoscono e sempre pronti a tenderti una mano.
Grazie ragazzi (scusate se continua a chiamarvi così nonostante siate professionisti), grazie davvero. Per il vostro straordinario lavoro e per le belle persone che siete.
I ringraziamenti, però, non finiscono qui. Vogliamo dire grazie anche alla dottoressa Valentina Gambino dello Spemp e ai dottori Alfonso Averna che coordina l’Usca e Benedetto Trobia.
Vogliamo dire grazie agli psicologi (mi dispiace non ricordare il nome) che ci hanno contattato per un supporto legato alla sfera emotiva ed emozionale. Una eccellente iniziativa della direzione strategica. E’ importante quando stai affrontando un momento delicato della tua vita sapere di non essere solo, sapere che c’è qualcuno che ti offre sostegno e ascolto.
Ad maiora semper
Sonia Giugno
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