16 Novembre 2024

Zarabazà

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L’immersione di Angelo D’Agosta e Pamela Toscano al Monastero dei Benedettini

Foto di Salvo Puccio

I lavori, quelli fatti bene, quelli che te li porti addosso come un carapace vitale, uno zaino che ti zavorra alla Bellezza. Quella dei luoghi di Catania, infinitamente tanti e splendidi; quella delle mani di Franco Lazzaro che oggi corrono sulla complessa tastiera di un organo monumentale realizzato da Donato del Piano tra il 1755 e il 1767, ospitato da una cantoria in legno, adeguato all’imponenza della Chiesa di San Nicola l’Arena dalla facciata incompleta (capitava anche a quel tempo che le imprese dessero filo da torcere ai committenti) ed unica nel suo genere…“singhiozzi lievi e tuoni possenti”, disse W. von Goethe, rimanendo sopraffatto dalla musica che risaliva dalle 2378 canne. Quella della determinazione e della lungimiranza appassionata dell’Associazione Officine Culturali, “un nome che non è un ossimoro, piuttosto ciò che mette insieme i luoghi del lavoro e della fatica fisica con l’immagine dell’intellettualità pura: la Cultura”. Grazie inoltre alla collaborazione del rettorato della Chiesa di San Nicolò l’Arena, del Comune di Catania e del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, che hanno reso disponibile l’apertura della porta che i monaci benedettini superavano ogni giorno per passare dagli alloggi alla Chiesa.

La Bellezza di due attori talentuosi come Pamela Toscano e Angelo D’Agosta ispirati da una novella di Federico De Roberto, intitolata a Donato del Piano e facente parte della raccolta “Documenti Umani” che seguiva (oggi lo chiameremmo un flop da parte della critica) a una precedente raccolta che il suo editore gli aveva sconsigliato di pubblicare. Comincia, infatti con una lunga prefazione al “gentilissimo sig. Treves” in cui De Roberto pur dichiarandosi ossequioso della critica, apre una disamina soffermandosi sulle proprie ragioni e in ogni caso concludendo che stavolta per luoghi, personaggi e umori, queste sarebbero state “Novelle ideali“. La novella “Donato del Piano” di cui Mille Miglia Lontano è l’adattamento, è scritta in forma di diario.

In occasione di Porte aperte Unict, è ritornata dunque al Monastero dei Benedettini di Catania a cura di Officine Culturali tra il monastero e la Chiesa di San Nicolò l’Arena. Nel 2013 – anno della morte di Lamberto Puggelli al quale il lavoro è dedicato – Angelo D’Agosta e Pamela Toscano lo avevano pensato e rappresentato per un numero tale di repliche che la sintonia verificata fra i due attori è rodaggio conclamato.

Narrano, prestando voce e silenzio a quegli appunti odierni, procedendo fra la folla in maniera così estraniata da indurre il sospetto che possano essere degli ologrammi, o che si verifichi l’incontro di due piani temporali che ospitano l’uno gli attori, l’altro gli spettatori. Essi sono fluidi, immobili, scivolano da un luogo ad un altro generando l’illusione di un corpo che diventa pulviscolo per riapparire intatto al prossimo disegno. I luoghi possiedono il mistero delle innumerevoli storie che ancora respirano negli ambienti del Monastero: partenze ed addii, divine emozioni, un crespo che avvolge tutte le cose; percezioni per se stesse immateriali di un mondo materiale, concatenazioni di sillabe, il linguaggio depone ai bisogni dell’umanità ed infine Beethoven è un grande psicologo perché la Musica riesce a far parlare le emozioni attraverso una modalità che la parola non conosce.

Dando una lettura alla novella (di cui si trova il link nelle pagine web curate da Officine Culturali), mi compiaccio maggiormente della preparazione degli attori che inanellano lo scopo raggiunto di privare la narrazione di quegli scalini temporali che la lettura possiede.

L’approccio alla critica di questo lavoro merita un cospicuo numero di parole, le stesse sulla cui efficacia ragiona l’autore, ma credetemi se vi dico che se esistesse il modo di tracciare le espressioni di ciascuno spettatore, sarebbe assai più agevole adoperarle per rendere il valore di questa magnifica rappresentazione itinerante che lo guida dall’ingresso alla Sagrestia del Monastero e quindi attraverso la porta alla Chiesa e dunque all’organo e dopo allo gnomone per concludere in prossimità dell’inizio della navata centrale protetta dalle “cannalore” di Sant’Agata, sentinelle pregiate che tentano di rubare la scena agli attori che giocano con gli spettatori prossimi all’uscita. Chiarezza istantanea avrebbero avuto un numero chiuso per turno di nasi all’insù, di occhi aperti specchi di ogni parete tetto, statua, lapide, ricordo, corridoi e navate, pavimenti e fogli di parole, bocche spalancate a tentare il tentativo di cibarsi di quella occasione da visitatore più unica che rara.

Angelo D’Agosta e Pamela Toscano narrano e ci conducono: i due attori ci aspettano in cima allo scalone monumentale che solitamente lascia decidere all’avventore da quale parte salire: ma noi saremo guidati verso destra, dopo aver lasciato la luce dei marmi per quella di un cielo terso blu estate con una virgola di luna sopra il chiostro di levante, attraverso “un merletto vegetale“. Parole sparse come frecce che ci portano ad un altro ingresso e si passa dalla luce al buio di un luogo pieno delle rispettose memorie dei caduti. E la novella continua a riecheggiare portata da un mormorare sommesso risucchiato nell’organo incredibile costruito da Donato Del Piano. Gli attori come angeli stanno alla destra e alla sinistra di quel mago invisibile che risponde al nome di Franco Lazzaro che riesce a gestire l’aria in quell’immenso susseguirsi di strade che portano al cielo la voce di Dio. Pamela Toscano, commiatandosi dagli spettatori, ricorda la dedica dello spettacolo al suo Maestro Lamberto Puggelli che soleva dire: “sono nato per raccontare storie e so fare solo questo. E se mi toglieranno la parola, io racconterò le storie a gesti e se mi toglieranno i luoghi in cui raccontare, io racconterò le storie agli angoli delle strade”.

“Dall’alto della cupola, l’anima di Donato del Piano spicca i suoi voli liberamente. La porta aerea è sempre dischiusa, il padre guardiano dorme, la notte è profonda. . . . . . . . . Silenzio! La voce riprende.”

….Questo manoscritto si rinvenne in una cella del monastero dei Benedettini di Catania, il giorno che un tedesco lì ospitato e affetto da una mite pazzia, fu trovato cadavere informe sulla spianata del campanile, dove la sua caduta dall’alto della cupola era stata arrestata…. all’inizio, ci aveva raccontato l’attore….

Se De Roberto fosse ancora vivo, gli avremmo raccontato la storia di Melo, il cane vissuto nell’edificio per 17 anni e venuto a mancare alla fine dello scorso gennaio: sono certa che sarebbe stato ben disposto ad aggiungere un altro capitolo alla sua raccolta.