Traduzione, adattamento e regia di Nicasio Anzelmo; con la partecipazione straordinaria di Tuccio Musumeci.
Con Debora Bernardi nel ruolo di Elmira, Antonio Grosso in quello del falso devoto Tartufo, Angelo Tosto che interpreta Orgone, marito di Elmira. E poi Gianmarco Arcadipane (Valerio, innamorato di Mariana), Aurora Cimino (Mariana, figlia di Orgone e innamorata di Valerio), Luca Fiorino (Cleante, cognato di Orgone), Luigi Nicotra (Damide, figlio di Orgone), Lucia Portale (Dorina, cameriera di Mariana), Francesco Rizzo (Ufficiale del re).
Scene Vincenzo Lamendola; costumi Dora Argento; disegno luci Antonio Licciardello; movimenti coreografici Martina Caruso. Foto di Dino Stornello.
Con un pre-debutto a Priolo il due giugno scorso, è stato in giro fra Gela, Catania, in rassegna al Brancati per la Stagione 2021-2022, a Pollina ed infine ad Aci Bonaccorsi, nella magnifica corte di Palazzo Recupero Cutore.
E’ la storia di un uomo perbene (Orgone, Angelo Tosto) che ospita nella propria casa un “gesuita” eccessivamente conservatore (Tartufo, Antonio Grosso). Oltre all’ospitalità che si protrae a lungo, si viene ad istaurare una dipendenza emotiva e spirituale del padrone di casa a qualsiasi cosa Tartufo declami: la moglie (Elmira, Debora Bernardi), la cameriera (Dorina, Lucia Portale), il figlio (Damide, Luigi Nicotra) ed il cognato di questi (Cleante, Luca Fiorino) cercano di fargli intendere la sua esagerazione, insinuando che si tratti di un impostore. Ma Orgone resta cieco e sordo, completamente trascinato dall’onda affabulatoria del religioso, sino a giungere al folle progetto di fargli sposare la figlia Mariana (Aurora Cimino), rompendo il fidanzamento col di lei amato (Valerio, Gianmarco Arcadipane) e donargli al contempo, a mezzo di atto notarile, tutti i suoi averi. L’abile guizzo della moglie Elmira, infine, allestendo una pantomima per svelare il lato oscuro di Tartufo, riporterà ogni cosa al proprio posto, non senza prima realizzare lo sgomento dell’ assurdo ed esagerato gesto compiuto a danno del patrimonio familiare.
Quasi scontato aggiungere che Moliére (che mi piace definire una sorta di Pasolini ante litteram), dovette lottare contro il clero e la monarchia per la schietta definizione degli ambienti austeri e del pensiero marcio che li governava. Il teatro, la commedia dell’arte erano per lui il luogo e lo strumento per denunciare le false maschere indossate da coloro che si ergevano a guida del popolo, strumentalizzandone in realtà la buona fede ed esasperando a proprio tornaconto i contenuti educativi.
“Si tratta – spiega il regista Nicasio Anzelmo – di una commedia brillante ma soprattutto di una satira contro vizi e difetti della società nobile francese del ’600 che si adatta perfettamente ai tempi contemporanei e che racconta la vicenda dell’ipocrita per eccellenza: un uomo che indossa la maschera della devozione religiosa e della finta amicizia e che tradisce la fiducia altrui. Molière ebbe molti problemi con i cortigiani, tanto che l’opera fu bandita e solo varie suppliche a Luigi XIV ne permisero una nuova rappresentazione. Attuale, allora come oggi, il testo che porto in scena è fedele all’originale e in alcune parti esalta addirittura il messaggio. Un messaggio che è soprattutto una critica contro i falsi devoti alla religione in tutte le epoche. Insomma, una critica contro la propaganda e l’indottrinamento dove ho voluto, in modo anticonvenzionale, affidare il ruolo del protagonista non a un uomo poco avvenente e che rappresentasse la bruttezza dell’animo attraverso quella fisica, ma a un attore come Antonio Grosso che veste i panni di un Tartufo di bell’aspetto ma ripugnante per il modo di fare”.
Un lavoro ben fatto, di quelli che si avvalgono innanzitutto di un’ottima regia, di collaborazioni eccellenti, recitazione qualificata, costumi e scene davvero attraenti.
La scelta scenografica di Vincenzo La Mendola qualifica una delle sale del palazzetto abitato da Orgone e la sua famiglia, adoperando cornici bianche di varia fattura come quadri e come finestre, un tavolo come arredo piuttosto “mobile” e a volte ulteriore palcoscenico, prospettiva più alta da cui cercare di guardare meglio le cose che accadono e dal quale fare arrivare meglio la voce di chi si oppone e mettere distanza fra le parti del contendere. Le luci di Antonio Licciardello commentano la giornata che si svolge nella casa e gli umori dei protagonisti. Ricca semplicità adatta per allestire palcoscenici di misura diversa.
I costumi di Dora Argento tendono per gli abiti maschili a rispettare in parte la moda del ‘600 ed inseriscono sulle camicie cravatte e papillon al posto delle svolazzanti rouches; invariato lo stile di Dorina la cameriera, scelta di linee da abito da sera stile anni venti per le signore, madre e figlia, entrambe in rosso. Il magnifico Tuccio Musumeci che interpreta la signora Petronella mamma di Orgone, vestendo da uomo un look che rispetta pienamente l’epoca e con l’ausilio di genere di una mantellina di lana.
Tuccio Musumeci (signora Petronella) è una brillante e quanto mai geniale sorpresa all’inizio della storia che poi lo spettatore attenderà di rivedere e sarà accontentato alla fine. L’attore catanese, con tutto un codice di verbale e non verbale che gli appartiene per natura, giunge sul palcoscenico per sancire quel rapporto di affetto immenso che con uno scrosciante applauso il suo pubblico gli tributa immediatamente.
Antonio Grosso (Tartuffe) piuttosto somigliante a Moliere, quasi la versione partenopea del drammaturgo, è un bellissimo e seducente impostore. E’ stato nella voce come nelle stesse posture, sibilante e riservato, sottilmente convincente ha davvero definito il personaggio viscido ed ipocrita con l’ausilio di una mimica facciale già notata in altre performance dell’attore napoletano (quali “Antonio De Curtis, in arte Totò” lavoro scritto ed interpretato insieme ad Antonello Pascale) con cui abilmente padroneggia e definisce ogni ruolo.
Angelo Tosto (Orgone) possiede le chiavi per essere tutti i personaggi scritti in ogni epoca! I suoi duetti con Tuccio Musumeci/mamma, nell’apparente errore di ruolo, sono trascinati e magnifici. L’aspetto scombinato, le espressioni trasognanti e perdute lasciano repentinamente il suo volto per la rabbia ed il dispiacere e non gli occorre l’ausilio di parola alcuna.
Debora Bernardi (Elmira) è la passione e l’arguzia, incarna perfettamente l’intelligenza che Moliere riconosceva alle donne: esattamente come Tartufo, ma con migliori intenzioni, adoperando pose sexy e il potere del richiamo sessuale, Debora/Elmira, elegante per dote, diventerà l’impostora dell’impostore gabbandolo come egli merita, dimostrando fedeltà verso il marito e la famiglia.
Lucia Portale (Dorina): mi si consenta un elogio speciale verso quest’attrice il cui ruolo, nell’economia della narrativa come dei personaggi, è ricorrente e complesso, necessitando di sfumature diverse per i diversi momenti e le relazioni con i membri della famiglia che ad un certo momento dominerà completamente, fungendo da deus ex machina nella soluzione degli innumerevoli problemi. Lucia/Dorina indossa un abito che mette in mostra il suo splendido décolleté esibito con saggezza e da cui riesce a spostare l’attenzione risultando soprattutto attraente con la propria recitazione; il modo di parlare e le espressioni del volto si completano a vicenda, sia quando insieme si prestano che quando a turno si esprimono: anche di spalle l’attrice riesce a conferire vita al suo personaggio. Bravissima!
Gianmarco Arcadipane, Luca Fiorino e Luigi Nicotra sono tre magnifici attori che già hanno avuto modo di farsi apprezzare in molti differenti lavori (I Moschettieri, Per fortuna è una notte di luna, Mein Kampf, per citarne alcuni); qui adoperano un registro passionale con cui esprimono benissimo lo sconforto, la delusione e l’ira amara per non essere tenuti da Orgone nella giusta considerazione.
Aurora Cimino (Mariana) e Francesco Rizzo (ufficiale del Re) completano egregiamente il cast, riuscendo, ciascuno per il proprio ruolo, a mantenere il tenore narrativo ed i livelli di recitazione.
In questa commedia si ride tanto; e ridendo si apprendono le viltà e le bassezze umane, le ingiustizie e le prepotenze. Moliére è anagraficamente lontano, ma attuale comunque: fu una mente brillante, un arguto scrittore che pagò a suon di dispiaceri ogni verità attraverso il Teatro volesse rappresentare e svelare. Una leggenda narra che a cinquantuno anni non morì di tubercolosi durante la sua ultima rappresentazione del Malato immaginario, bensì dalle risate, irrefrenabili, alle sue stesse battute…
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