16 Dicembre 2024

Zarabazà

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Confessione creatrice di Klee

Non ci sono grandiosità in lui, nessun vasto panorama, ma molti piccoli oggetti preziosi. Il suo rifugio è il chiuso, cauto mondo nativo, nel quale l’uomo è portato ad approfondire se stesso, a sviluppare idee, influssi e suggerimenti provenienti da ogni parte, dopo essere stati assimilati e adattati alla propria personalità.

La madre è francese, il padre tedesco, la sua città natale è la svizzera Berna, punto di confluenza di queste due culture, regione molto ricettiva ma anche provinciale. L’ambiente in cui trascorre la maggior parte della sua vita è come uno specchio che mette a confronto architettura d’avanguardia illuminati dagli sfarzi dell’elettricità e la campagna circostante, la cui civiltà contadina si offre nella sua nuda semplicità, come uno scatto fatto a un altro mondo.

I suoi Diari e un saggio, considerato poi il suo “credo”, una sorta di riflessione personale e anche manifesto artistico, dal titolo Confessione creatrice, raccolgono tutta la sua esperienza di uomo e artista, tutta la sua disperata ricerca di un segno puro e depurato. Scrive l’autore: “l’arte non restituisce il visibile, rende visibile”.

Nelle tre piccole stanze del suo appartamento a Monaco, lavora instancabilmente, senza tregua, sperimentando di continuo materiali e tecniche, indagando quale sia il modio migliore per tradurre le proprie sensazioni. Il suo è un linguaggio bonario e domestico, sorprende senza sconvolgere, rassicura perchè esprime sensuale stabilità, è audace in quanto modesto. Non crea una unità che l’occhio possa cogliere istantaneamente, ma sminuzza, trita, macina, divide. “L’occhio segue le vie che nell’opera gli sono state disposte”, scriverà in una delle sue poesie. Lavora in piccoli formati, come miniature i suoi quadri sono ideati per essere appesi a pareti intime, affinchè con un esame ravvicinato, l’occhio di chi osserva possa viaggiare con minimo sforzo attraverso quelle intricate e macchinose complicazioni del particolare.

C’è della musica intorno, sembra di udire il padre suonare il piano e il violino. E quelle linee sono spigolose e sinuose, rigide ma sciolte, tutto e niente. esse conducono, accompagnano, congiungono, giocano armonicamente, non aderiscono nè fanno da contorno, creano soltanto assenza di peso. Allo stesso modo fa il colore.

Come immersi in un ricordo lontano, quando dalla nonna materna riceveva i primi insegnamenti di disegno e poesia, siamo invitati a partecipare e incarnare questa compenetrazione reciproca tra le arti. Sembra contorcersi Paul, per trovare la sua strada, sembra stia pensando alla maniera kafkiana, prima di accettare la metamorfosi. “non riesco a farmi capire, non riesco a far capire a nessuno cosa mi stia succedendo. Non riesco a spiegarlo nemmeno a me stesso”.

La ricerca e l’apprendistato artistico in Italia e in altri Paesi saziano la sua curiosità di “risalire alla radice” dell’architettura dell’arte figurativa, scriverà: “l’iniziale disorientamento di fronte alla natura si spiega nello scorgere soltanto le ultime ramificazioni. Una volta però compreso ciò, si può riconoscere anche nella più lontana fagiolina la manifestazione dell’unica legge che regola il tutto e trarne vantaggio”. E’ la scoperta, la genesi dell’anatomia delle sue opere, l’epifania mentale, la materializzazione dello scheletro della creazione. Come Michelangelo, egli si dirige dritto al nucleo e vi giunge, infine, scovando la bellezza celata dalla materia grezza.

Il Cubismo lo libera dalla rappresentazione naturalistica e tutto, dunque, può essere analizzato e scomposto e integrato nell’opera. ma è quando il nostro aderisce al Cavaliere Azzurro (Der Blaue Reiter), insieme agli amici Franz Marc e Wassily kKandinskij, che comprende come il solo modo per salvare se stessi dalla brutalità della storia sia marciare dal materialismo allo spiritualismo, dal buio alla luce.

Ne Lo Spirituale dell’Arte, Kandinskij scrive che “quanto più questo mondo diventa spaventoso, tanto più l’arte diventa astratta” e muove da un principio di necessità interiore.

La guerra lo separa da tutti i suoi contatti. Ben presto, l’immagine della morte si fa ossessiva: maschere, sbarre, lunghe linee nere senza meta, demoni e Angeli, simboli intimi e collettivi contemporaneamente, sono la tendenza verso la quale la sua espressività si dirige. Qui, ognuno è un Angelus Novus dalle ali spiegate, il viso rivolto al passato, macerie ai suoi piedi, vorrebbe tanto ricomporre i frammenti ma soffia la bufera che sospende inesorabilmente e irresistibilmente nel futuro, dove si trova il nostro progresso.

Egli è un artista, uno di quelli che in quanto tale una volta tanto si finge Dio, del resto “un singolo giorno è abbastanza per renderci un po’ più grandi o un po’ più piccoli”. E la sera, dunque “posso coricarmi con la consapevolezza di aver fatto qualcosa. Anche questo conta”.

Fino al 21 febbraio 2023 Klee sarà in mostra presso il Centro Cuturale Candiani, a Venezia, per una Collettiva insieme ad artisti come Kandinskij, Jean Arp, Joan Mirò e altri esponenti delle Avanguardie europee.