L’autore (Genova, 1941), una laurea in Fisica elettronico-nucleare e un passato da attivista sessantottino prima nel PCI e poi nei gruppi extraparlamentari di sinistra, inviato di guerra per Panorama (Iraq, 1974), docente di matematica e fisica e, infine, pensionato ai Caraibi. Il suo primo romanzo, Zero, virgola (2001), apprezzato da Aldo Busi, ha vinto il primo premio per la narrativa edita del XIV concorso letterario “Garcia Lorca” di Torino.
Nel suo secondo libro, Homo culus, l’autore si serve di alcuni concetti-chiave per sviluppare la sua originale tesi. Il primo è la scoperta del paleoantropologo australiano Raymond Dart (“bambino di Taung”, Johannesburg, Sudafrica – 1924), secondo cui i nostri avi vissuti più di due milioni di anni fa erano bipedi, avevano un cervello da scimmia (inferiore ai 750 centimetri cubi) e mangiavano altri uomini. La scoperta impiegò più di vent’anni a essere “digerita” dalla comunità scientifica occidentale, soprattutto britannica, restia ad accettare nell’albero genealogico un cannibale con poco cervello, nato per di più nel continente nero. Il secondo concetto è quello di capitalismo come spreco vistoso e consumo del superfluo, elaborato dall’economista statunitense Thorstein Veblen (1857-1929) che associò la spregiudicatezza negli affari dei capitalisti americani contemporanei ai comportamenti dei primitivi predatori. La tesi del capitalismo come spreco vistoso fu ripresa e sviluppata dal sociologo tedesco Werner Sombart che – ed è la terza chiave – pose il lusso all’origine del capitalismo. Infine, c’è il concetto di proiezione organica, sviluppato dal tedesco Ernst Kapp nella sua Filosofia della tecnica (1877), secondo cui tutti gli strumenti tecnici e le forme organizzative prodotte dall’uomo sono estensioni fisiche o virtuali del corpo.
Da sempre filosofi e scienziati, scrive Dodero, si interrogano su ciò che differenzia l’uomo dalle altre specie, attribuendo la caratteristica distintiva ora alle mani, ora all’anima, ora al cervello. Eppure, sul fatto che la stazione eretta abbia avuto un ruolo cruciale nell’evoluzione biologica dell’uomo, concordano ormai diversi studiosi, a partire da André Leroi-Gourhan. Alla stazione eretta ha contribuito l’esercizio della violenza con l’uso del pugno, che è peculiare della nostra specie. La postura, inoltre, ha impresso un ruolo decisivo al processo evolutivo, consentendo alla donna di nascondere l’estro. Anche il fondoschiena è un portato della stazione eretta. E, ancor più del cervello, caratterizza la nostra specie, dal momento che siamo gli unici tra i Primati ad averlo così sporgente. Quelle due masse così carnose che non assolvono a una funzione precisa, salvo quella di costituire un accumulo di grassi e quindi una riserva energetica, rappresentano un vero e proprio spreco, un lusso del corpo.
L’autore si serve del concetto di proiezione organica per «proporre, o riproporre, il corpo, l’anatomia addirittura, quale protagonista della storia». Si pensi, per esempio, all’invenzione del martello come proiezione organica dell’avambraccio e del pugno; alla camera oscura come proiezione dell’occhio, alla pompa come proiezione del cuore e via dicendo. Anche lo Stato, come insieme strutturato di organi centrali e periferici, è una proiezione dell’intero corpo umano, dove l’impiego tecnologico dell’elettricità è il suo sistema nervoso; le vie di comunicazione, le sue arterie e vene pulsanti di vita, e così dicendo. E il fondoschiena? Qual è la sua proiezione organica? Se il lusso e lo spreco vistoso sono all’origine del sistema capitalistico, come scrivevano Veblen e Sombart, allora il didietro non può che rappresentare la proiezione organica del capitalismo, in quanto accumulo, spreco e lusso del corpo. Senza offesa, ovviamente, per i capitalisti.
«Si tratta di un’opera – chiosa Dodero – che mira a ridimensionare l’immagine che abbiamo di noi, pretesi uomini sapienti, che ci siamo gratificati con l’altisonante Homo sapiens, al quale ritengo andrebbe sostituito un più prosaico Homo culus, maggiormente aderente alla realtà storica e antropologica della nostra specie, feroce come nessun’altra e devastatrice del pianeta su cui viviamo, non ancora per molto, temo».
Homo culus è un divertissement intellettuale, un’opera di erudizione, che spazia dalla filosofia all’antropologia, dall’economia alla sociologia, passando per la storia. E che non può mancare nelle biblioteche di chi ama la storia delle idee e le avventure del pensiero.
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