Da secoli il nome di Caltanissetta è legato alla produzione del torrone.
La bontà delle materie prime, le pregiate mandorle locali raccolte a fine estate, e l’abilità di maestri artigiani hanno dato vita ad una tradizione che affonda le radici nell’antichità e si rifà alla kubiat di origine araba.
Il torrone nisseno una delizia fatta di mandorle, pistacchi e miele. Una sinfonia perfetta di sapori, espressione dell’arte dolciaria tramandata di generazione in generazione e riassunta nella storia della famiglia Nitro.
Un racconto che inizia in una stradina del centro storico nisseno, la via Redentore, dove ancora oggi si trova il loro laboratorio artigianale.
“La tradizione – ci racconta Giuseppe Nitro- nasce nel 1900. Fu mio nonno il fondatore del torronificio Fratelli Nitro. Anticamente non essendoci pasticcerie lui andava in giro durante le manifestazioni e le feste religiose nei vari paesi del Parco delle Madonie. Quelle erano occasioni in cui si gustavano il torrone, le mandorle zuccherate e il gelato di campagna.
Oggi facciamo un po’ di tutto della pasticceria secca ai classici taralli oppure, durante la “festa dei morti”, le rame di miele, i moscardini chiamati anche ossa di morti. Molti scambiano il torrone con la cubaita, ma la cubaita è un torrone portato dagli arabi, fatto con il sesamo. In passato i contadini non potevano permettersi la mandorla che invece era un prodotto per ricchi, e quindi il torrone se lo facevano con i semi di sesamo chiamati in siciliano “giuggiulena”.
Invece per fare il famoso torrone di Caltanissetta a base di mandorle, pistacchio e miele ci sono due fasi, la prima prevede la lavorazione del miele. In laboratorio abbiamo una caldaia di 75 kg dove il miele si mette a cuocere per sette ore a fuoco lento, quando è cotto immergiamo mandorle e pistacchio, facciamo cuocere e poi lo mettiamo in contenitori di legno dove riposa e alla fine viene tagliato e confezionato.
Per fare la classica cubaita invece si scioglie lo zucchero a caramello e quando è sciolto vi immergiamo o le mandorle o il pistacchio o il sesamo, quindi completiamo con una lavorazione a coltello sul marmo”.
Da fine estate in poi nel laboratorio di Via Redentore si lavora in vista delle ricorrenze legate alla tradizione e così mandorle e zucchero sapientemente amalgamati danno vita a piccole opere d’arte: sono i dolci della Festa dei Morti: la frutta martorana ovvero i variopinti fruttini che riempiono di colori e profumi le case dei siciliani.
“Noi produciamo frutta martorana dal 1900 – continua ancora nel suo racconto Giuseppe Nitro – perché a Caltanissetta c’è una tradizione fortissima. In Sicilia la nascita di questa tradizione si deve alle suore di un convento di Palermo che in occasione della visita del Papa, non sapendo che dolce offrire, impastarono zucchero con mandorle realizzarono questa frutta che poi appesero a un albero.
Oggi lavorare la frutta martorana iniziamo dalla mandorla che viene bollita, per togliere la pellicina, poi la amalgamiamo con lo zucchero e dopo l’impasto viene tritato finemente mentre le forme le realizziamo a mano o utilizzando dei calchi in gesso. Anche il pupo di zucchero assieme alla martorana fa parte della tradizione siciliana.
Anticamente non c’era il giocattolo da regalare al bambino ma c’era il pupo di zucchero e se ne vendevano tantissimi addirittura da tre o quattro chili, pupi enormi raffiguranti i paladini di Francia. Poi negli anni la tradizione si è persa e i pupi di zucchero rispetto alla frutta martorana vengono venduti molto di meno”.
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