20 Novembre 2024

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Settore Musei Civici Bologna | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna

Ludovica Carbotta. Very Well, on My Own
A cura di Lorenzo Balbi con l’assistenza curatoriale di Sabrina Samorì

1 febbraio – 5 maggio 2024
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Sala delle Ciminiere
Via Don Minzoni 14, Bologna
www.mambo-bologna.org

Mostra promossa da Settore Musei Civici Bologna | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Nell’ambito di ART CITY Bologna 2024 in occasione di Arte Fiera

Inaugurazione
Mercoledì 31 gennaio 2024 ore 18.00

Cartella stampa: https://drive.google.com/drive/folders/1UwgICFda0CJs3kawHlmtc_gdDnAGWwaw?usp=sharing

Ludovica Carbotta, Monowe, 2024. Still da film. Courtesy l’artista

Bologna, 30 gennaio 2024 – Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna del Settore Musei Civici Bologna inaugura la programmazione espositiva della Sala delle Ciminiere per l’anno 2024 con la mostra Ludovica Carbotta. Very Well, on My Own, a cura di Lorenzo Balbi con l’assistenza curatoriale di Sabrina Samorì, visitabile dall’1 febbraio al 5 maggio 2024.
L’inaugurazione si svolge mercoledì 31 gennaio, alle h 18.00, nell’ambito di ART CITY Bologna, il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali, promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera.

Ludovica Carbotta. Very Well, on My Own è un progetto realizzato grazie al sostegno della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura nell’ambito di Italian Council (11a edizione, 2022), il programma di promozione internazionale dell’arte contemporanea italiana.

La prima mostra antologica dedicata in Italia all’artista Ludovica Carbotta (Torino, 1982) in Italia prende avvio da una ricerca sull’individualità e sul rapporto con lo spazio pubblico nell’accezione tangibile di città e, in quella astratta e infrastrutturale, di istituzione. Il titolo Very Well, on My Own rimanda a una specifica idea di privacy e individualità in cui ognuno cerca riparo per far fronte alle ingerenze del mondo esterno e della propria psiche. In un mondo caratterizzato da una sovra-esposizione delle nostre soggettività, quotidianamente associate ai concetti di “prestazione” e “visibilità”, l’esposizione suggerisce una diversa postura in cui la persona e la sua cura diventano generativi sia sul piano soggettivo che collettivo.

Durante il suo percorso artistico, Ludovica Carbotta ha osservato il modo in cui le città definiscono il nostro campo d’azione eseguendo lei stessa veri e propri esercizi fisici con il tentativo di destabilizzare la prossemica comune dell’abitante e di disegnare nuove coreografie del corpo all’interno dell’ambiente cittadino. Tale indagine è stata ampliata, nel corso degli anni, su un piano immaginario e narrativo articolandosi in sistemi complessi di opere che prefigurano immagini distopiche e futuristiche del tessuto urbano e che pongono una riflessione sulle potenzialità e i rischi di una radicalizzazione dell’individualità all’interno della società.

L’esplorazione sulle modalità di connessione degli individui con l’ambiente che li circonda è il focus dell’incipit della mostra. L’artista esperisce lei stessa la città con il proprio corpo attraverso processi empirici che esulano da conoscenze pregresse e metodologie di misurazione convenzionali. “La cosa che mi affascina rispetto alla misurazione – spiega – è quella di fissare un piccolo momento, o di misurare un frammento, una cosa insignificante o ancora trovare un modo mio, cercando il più possibile di non fare affidamento sulle mie conoscenze previe, di misurare qualcosa (un fenomeno fisico, un paesaggio, il tempo)”. In Il viaggio è andato a meraviglia (esercizio uno) (2010) si concretizza il tentativo dell’artista di diventare parte integrante di un paesaggio urbano con il fine di poterlo comprendere dal suo interno. Nelle sue azioni l’ordine di grandezza è il corpo, lo spazio che occupa, la staticità che è in grado di esercitare, l’ombra che potrebbe o meno proiettare sul manto stradale. In Non definire la superficie (2011), l’artista cerca di attraversare la città senza proiettare la propria ombra, mettendo così in atto l’improbabile sparizione della propria fisicità dalla scena.

Il confronto con la dimensione urbana, sia reale che immaginifica, è esplorato a più riprese, tanto nella ricerca artistica di Carbotta quanto lungo tutto il percorso espositivo nel quale si incontrano lavori come Wrapped in Thought (Costruttore di mondi molto simili al nostro) (2009) e Invisibile Modulor (2009), che traducono polvere e sporcizia urbana in materia artistica, e come Cast Bloc (2012-2024), opera che viene riproposta per lo spazio della Sala delle Ciminiere come una barriera che si frappone tra l’area espositiva e suoi fruitori, portando questi ultimi a interagire con il movimento.

Il corpo si trasforma da unità di misura a elemento generatore nell’installazione site-specific Images of Others Have Become Parts of the Self (2024), lavoro che, facendo eco a Scala Reale (2011), viene realizzato dall’artista direttamente nella sede espositiva ed entra in dialogo con il contesto architettonico circostante. Come tredici anni fa, Carbotta costruisce, senza l’ausilio di un progetto, una struttura lignea in grado di sostenere il suo peso e di portarlo il più in alto possibile.

Creata secondo un simile principio additivo è la serie più recente di sculture Paphos (2021-2024), progetto in cui l’artista riflette sull’idea di crescita e di trasformazione in relazione alla pratica scultorea. Il nucleo originario di questi manufatti di bronzo, ceramica e resina a base d’acqua, è manipolato nel tempo dalla stessa artista che lo allaccia a un processo di crescita.

L’altra serie presente in mostra è Die Telamonen (2020–2024), una famiglia di sculture in cui ciascuna è la riproduzione dell’altra. A partire da differenti metodologie di produzione scultorea e dai conseguenti risultati formali, ogni membro di questa famiglia ha generato una propria storia e un singolare profilo psicologico. I Telamoni, segnati da un peso che proviene dal passato, sembrano rifiutare la propria origine; mettono in discussione il vincolo biologico che determina il modello di famiglia nucleare e generano possibilità concrete e simboliche di immaginare altre forme di comunità. L’artista lega il peso effettivo delle statue a quello della carica emotiva che anima ogni membro della famiglia. L’operazione della costruzione, ricorrente in Carbotta, assume dunque nella produzione più recente un’ulteriore accezione, ampliandosi dalla sua dimensione più materica, scultorea e performativa, verso la creazione fantastica sia di luoghi che di interi orizzonti psicologici che compenetrano l’uno nell’altro. Il gruppo scultoreo, dunque, rappresenta una rielaborazione di ciò che l’artista definisce fictional site-specificity, una forma di pratica site-specific che elabora contesti immaginari o materializza ambienti reali tramite il linguaggio della finzione. In questo procedimento formale, che esalta le capacità dell’immaginazione di fornire alternative tangibili al precostituito ordine sociale, l’opera, strutturalmente e concettualmente, non è in relazione tanto con lo spazio reale nel quale è inserita quanto con lo spazio fittizio-narrativo che ha generato.

Il ricorso alla finzione, alla memoria e alla rielaborazione di conoscenza esperienziale ai fini del processo scultoreo è rintracciabile nell’installazione The Original Is Unfaithful to the Translation (2015), un’opera composta da elementi architettonici che riproducono alcune delle stanze in cui l’artista ha vissuto, così come la mente le ha conservate. Il progetto analizza il luogo domestico in relazione alla trasfigurazione, al ricordo, al tempo e in rapporto al tema dell’individualità e dello spazio privato.

La riflessione di Ludovica Carbotta sulla condizione d’isolamento dell’essere umano si è concretizzata in questi anni nel progetto di ricerca intitolato Monowe (2016 – in corso), il suo più ampio ciclo di opere che racconta di un agglomerato urbano fittizio abitato da una sola persona. L’installazione del 2016 della città immaginaria Monowe (Entrance to the City) al Parco del Cavaticcio di Bologna (realizzata in occasione di Dopo, Domani, ON, a cura di Martina Angelotti) è stato un importante tassello del progetto che si conclude in mostra al MAMbo con la proiezione, in anteprima, dell’omonimo film. Il mediometraggio, progetto vincitore di Italian Council (11a edizione, 2022), realizzato con la produzione esecutiva di BoFilm, e destinato al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, è ambientato all’interno di un Tribunale e ha come epicentro narrativo un processo giudiziario a carico della sola abitante della città che si mostra nelle sue differenti età: infanzia, adolescenza, età adulta e vecchiaia (interpretate sullo schermo da Lina Nilausen Carbotta, Willem Nilausen Trullàs, Elionora Nilausen Trullàs, Ondina Quadri, Michele Ragno e Benedetta Barzini). L’eliminazione dell’alterità, che tipicamente abita le città, determina in Monowe il bisogno da parte dell’unico soggetto esistente di incarnare molteplici punti di vista come quello del giudice e, allo stesso tempo, dell’imputato. Descrivendo la progressiva perdita di coscienza della cittadina e l’inesistenza della pluralità nei luoghi istituzionali, la pellicola evidenzia il pericolo insito nel ritiro e nella sparizione della comunità.

Il percorso espositivo continua con opere che riflettono sul valore materiale e simbolico della rovina, luogo privilegiato della fictional site-specificity, in cui l’artista adotta uno sguardo archeologico sia sul passato che su un futuro immaginario. L’opera Plenum (2015) mostra una potenziale archeologia futura; realizzata a partire dall’analisi dei report degli scavi archeologici della sinagoga di Ostia Antica, è accompagnata dalla registrazione di una voce e da un segnale audio in Linear Timecode che rafforza l’evocazione di un’ambientazione a venire. Falsetto (2017-2018) si compone di modelli architettonici archetipici (l’arco, il ponte, il muro, la torre, la tenda) che lasciano prefigurare un futuro in cui è necessario re-immaginare le strutture da un grado zero di conoscenza empirica. In altri lavori l’artista ipotizza l’impatto delle calamità naturali sulle città, come in Dodici e un minuto (2008), e immagina un futuro prossimo in cui infrastrutture e altri non luoghi si trasformano in abitazioni, come in Overcrowded Village (2008).

La mostra si conclude con una selezione di opere che adoperano la tecnica del calco, sia dal punto di vista formale che concettuale. Il “vuoto” diventa metafora di un confine invisibile da indagare attraverso metodi empirici e intuitivi. In Patologia da decompressione (2008) l’artista intraprende una personale misurazione del paesaggio lacustre del Lago di Como con il fine di individuare e calcolare il punto più profondo del bacino. Sperimentando un nuovo rapporto tra pieni e vuoti crea Solid Void (2012), video realizzato con la tecnica dello stop-motion su una carta topografica della città di Torino. A partire da un centro assegnato soggettivamente, l’artista trasfigura la città attraverso un gioco di collage in cui accorpa i ritagli degli edifici, andando ad eliminare le aree di circolazione. Rappresenta la città come un unicum privo di passaggi e spazi interstiziali che appare perciò come un solido ininterrotto, chiuso su sé stesso e privo di luoghi attraversabili.

L’esposizione è accompagnata dal libro bilingue italiano/inglese Very Well, on My Own, a cura di Caterina Molteni, edito da Edizioni MAMbo, che contiene una conversazione tra Lorenzo Balbi e Ludovica Carbotta e saggi inediti di Davide Daninos, Mark Lewis, Vittoria Martini e testi critico-narrativi di Caterina Molteni. Il volume racconta la produzione dell’artista dal 2007 a oggi attraverso una vasta selezione di immagini e si completa con un’antologia corredata dai testi di Martina Angelotti, Irene Calderoni, Ilaria Gianni, Andrea Lissoni, Yara Sonseca Mas e con approfonditi apparati bio-bibliografici.

Il progetto avrà una sua estensione anche a Valencia e ad Amsterdam grazie alla collaborazione, in qualità di partner di progetto, con IVAM – Istituto Valenzano d’Arte Moderna. Centro Julio González e de Appel arts centre. Presso il museo valenciano verrà presentato uno screening del film Monowe, mentre a de Appel, Carbotta realizzerà un workshop all’interno del programma educativo dell’istituzione olandese.

Nell’ambito del ciclo di incontri ARTalk CITY, promosso da Accademia di Belle Arti di Bologna in occasione di ART CITY Bologna, domenica 4 febbraio alle h 10.00 Ludovica Carbotta dialoga con Lorenzo Balbi e Luca Bertolo.

Inoltre per il ciclo di conversazioni Book Talk, programma di presentazioni dedicato esclusivamente ai libri d’arte organizzato da Arte Fiera, domenica 4 febbraio alle h 12.00 l’artista presenta il libro Very Well, on My Own (Edizioni MAMbo, 2023) con la partecipazione di Caterina Molteni e Lorenzo Balbi.

SCHEDA TECNICA

Mostra
Ludovica Carbotta. Very Well, on My Own

A cura di
Lorenzo Balbi con l’assistenza curatoriale di Sabrina Samorì

Promossa da
Settore Musei Civici Bologna | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna

Sede
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Via Don Minzoni 14, Bologna

Periodo di apertura
1 febbraio – 5 maggio 2024

Inaugurazione
Mercoledì 31 gennaio 2024 h 18.00

Orari di apertura
Martedì e mercoledì h 14.00 – 19.00
Giovedì h 14.00 – 20.00
Venerdì, sabato, domenica e festivi h 10.00 – 19.00
Chiuso lunedì non festivi

Orari di apertura straordinari in occasione di ART CITY Bologna (1 – 4 febbraio 2024)
Giovedì 1 febbraio h 10.00 – 20.00
Venerdì 2 febbraio h 10.00 – 20.00
Sabato 3 febbraio h 10.00 – 23.00
Domenica 4 febbraio h 10.00 – 20.00

Ingresso
Intero € 6 | ridotto € 4 | gratuito possessori Card Cultura e nei giorni di ART CITY Bologna 2024 (1 – 4 febbraio)