La pmi innovativa fondata a Bolzano cresce grazie a 55 mila partecipanti e 15 mila no-profit: donato quasi un milione di euro. Le aziende danno l’opportunità ai loro clienti di scegliere e aiutare la loro associazione preferita su una piattaforma progettata ad hoc e a costo zero. Il founder della fintech for good, Paolo Plebani: “Crediamo in un futuro solidale, dove i consumatori decidono quali no-profit sostenere”
Sono i pionieri della “giving economy”. Credono in un mondo dove la generosità diventa norma, non eccezione. Un nuovo universo, nel quale ogni individuo ha il potere di fare la differenza, e la loro missione è dare a ognuno la possibilità di utilizzare questo potere.
Fondata nel 2017 a Bolzano da Paolo Plebani, Goodify è la prima “fintech for good” italiana a rendere semplice e conveniente per le imprese integrare nell’esperienza d’acquisto dei loro clienti una donazione end-to-end verso le loro cause e no profit preferite. Il modello di business è uno dei più evoluti in Italia, opera nell’ambito dell’economia del dono. L’idea è quella di unire aziende, consumatori e gruppi di volontariato con un meccanismo semplice: dopo l’acquisto, il cliente riceve un coupon sotto forma di qr code che può attivare, scegliendo a chi donare la cifra che l’azienda verserà, o persino proponendo la propria associazione del cuore.
L’idea è nata nel 2018, ci sono voluti anni per perfezionare il software e per trovare i finanziatori, ma adesso è ufficialmente decollata. I numeri parlano chiaro: fino a maggio 2024 sono stati donati 708 mila euro, cifra che sale ogni giorno, grazie a 55 mila persone che hanno distribuito i propri contributi ad alcune delle 14.655 no-profit presenti sul sito. L’utente ha solo il compito di scegliere la no-profit “preferita” tra quelle proposte, suddivise per le aree di intervento: ambiente, arte e cultura, emergenze umanitarie, bambini e adolescenti. Si precisa inoltre che il consumatore non è obbligato a registrarsi su Goodify, ma che facendolo potrà seguire tutto l’iter con cui la sua donazione arriverà a destinazione.
“I numeri non sono tutto nella vita, ma abbiamo la convinzione di essere sulla strada giusta”, dichiara il ceo di Goodify, Paolo Plebani, che prima di fondare la start up ha operato da manager in varie aziende. “Il cambiamento inizia da ognuno di noi. Goodify mira a rendere la giving economy la nuova forma di economia a impatto positivo più diffusa al mondo, incentivando le persone in ogni angolo del pianeta a essere parte attiva di un movimento sociale che promuove la cultura della rigenerazione e del benessere. Goodify è al fianco di consumatori e società per realizzare tutto questo”.
Le aziende che hanno sposato il progetto sono molte. Citiamo MD, Würth, Dedagroup, Promotica, Unguess e Ferrari Trento (il gruppo Lunelli ha persino deciso di investire nell’azienda, credendo fortemente alla sua attività; anche l’azienda Promotiva Spa è diventata socia).
“Sono in corso altre trattative, l’obiettivo è coinvolgere la grande distribuzione dei centri commerciali, dove le transazioni sono moltissime e dove gli scontrini si possono trasformare, grazie a qr code appositi, in altrettante donazioni”, precisa Plebani.
Va precisato che è l’azienda a “pagare” la donazione: il consumatore spende quello che deve, l’associazione riceve il contributo e nei passaggi non ci sono “perdite di denaro”. Il business di Goodify si basa infatti su accordi con le aziende, che pagano degli abbonamenti fissi che garantiscono lo sviluppo della piattaforma proprietaria e le attività di promozione della start up, che garantisce anche la tracciabilità della donazione e del flusso economico dal momento in cui il consumatore sceglie a quando il denaro arriva alle associazioni.
“Siamo entusiasti di operare in questo settore”, conclude Plebani. “La giving economy di Goodify non è appannaggio solo dei “grandi”, diventerà prerogativa anche per le Pmi, obbligate peraltro a rispondere ai canoni di sostenibilità richiesti dalle grandi imprese capofila o committenti». In epoca di Csrd (e di obbligo di rendicontazione della sostenibilità), è fondamentale presentare alla filiera e al canale finanziario un’adeguata compliance non solo in termini di impatto ambientale, ma anche sociale. E ogni buona pratica dà dei punti in più ai fini del rating Esg. Anche per questo donare fa bene”.
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