Giovanni e Gianluca Serioli autori di “IL GIOVANE GIOVANNI”, edito da Marco Serra Tarantola editore
“Mi chiamo Giovanni e vorrei raccontarvi la storia della mia infanzia che cambiò radicalmente a quattro anni, quando cadendo da un carro iniziai a vivere una vita di sofferenza, diversa da quella dei miei coetanei. Ora, a distanza di 85 anni, essendo l’unico sopravvissuto della mia famiglia, ho deciso di scrivere la mia storia per lasciarla a mio figlio, ai miei nipoti e a chiunque voglia leggerla. Le infermiere dell’RSA Cacciamatta dicono che sono ancora lucidissimo, quindi ho iniziato a scrivere, quaderno dopo quaderno: mio figlio trasformerà i miei scritti in una trilogia”.
Il romanzo “Il giovane Giovanni” racconta un percorso fatto di disabilità e virtù, emarginazione e solidarietà, miseria e agiatezza, cuori buoni e cuori cattivi, spirito di rivalsa e spirito di sacrificio, nella fiducia incondizionata in un futuro migliore, perché… “se lavorerai di buona voglia, il frutto arriverà dopo la foglia”.A 89 anni, fra le mura di una RSA, i pensieri scorrono fluidi, accarezzano la memoria, lasciano un retrogusto dolce amaro di nostalgia e conquista. Giovanni Serioli ha voluto trasporre i suoi ricordi per lasciare una traccia lunga una vita e per trovare un filo che colleghi tutte insieme le perle che formano la collana della sua esistenza. Parte dal principio, dall’infanzia, nella provincia bresciana e pennella le sue immagini passate. Ricorda l’incidente che a soli 4 anni gli ha cagionato una disabilità e un ricovero all’ospedale di Venezia fino all’età di 8 anni: una croce che da piccolo si carica sulle spalle e che lo accompagna per tutta la vita. L’autore ricorda dettagliatamente molti avvenimenti e li riconduce a un vivido presente. Narra del giovane Giovanni e di come abbia affrontato, anno dopo anno, il suo essere diverso dagli altri bimbi, il dolore ma anche la forza nell’incedere. Dalla lunga degenza per riabilitare l’arto offeso al rientro a casa: il giovane Giovanni favella ricordi di cuore, sofferenza e ingenuità. Il giovane procede, non si ferma, supportato dalla madre e dagli zii per dare il via a una nuova avventura: la scuola media, a Iseo, sul lago, grazie al prezioso intervento dello zio Attilio, vero angelo custode. Il destino e la stella buona anche nelle avversità portano Giovanni a cominciare il lavoro in uno studio odontotecnico: il ragazzo impara, ascolta, è bravo nella modellazione delle protesi. Giovanni fa della propria abilità un’arte, supportata da tenacia e da tanta pazienza. Giovanni Serioli dipinge uno spaccato di vita vera, ove a prevalere è la buona forza di volontà.
Note d’autore
Giovanni Serioli è nato a Passirano (Bs) il 26 febbraio 1935. Vive a Iseo dal 1965. Disabile dall’età di 4 anni, dal settembre 2020 è ospite presso l’RSA Cacciamatta di Iseo dove l’11 gennaio 2021 è deceduta la cara moglie Maria. Rimasto solo, ha passato le sue giornate scrivendo a mano e in stampatello su dieci quadernoni i ricordi della sua vita. Il figlio Gianluca li ha raccolti, ordinati e romanzati. Da essi sono nati tre libri, le stagioni del «GIOVANE GIOVANNI».
Gianluca Serioli, 56 anni, Iseo, è l’unico figlio di Giovanni. Imprenditore nel settore turistico d’accoglienza, promoter organizzatore di eventi, editore e redattore del periodico di informazione locale “Punto d’Incontro”, ama da sempre scrivere, particolarmente racconti e storie vere o immaginate legate al proprio paese, Iseo.
Editore: Marco Serra Tarantola editore
Pagine: 376
ISBN: 9788867774241
Conosciamo gli autori: “Risponde alle domande Gianluca Serioli”
Se potesse tornare indietro nel tempo e parlare al giovane Giovanni di quattro anni, cosa gli direbbe?
Gli direi che ognuno di noi ha un destino che l’attende e, che sia buono o cattivo, dobbiamo farcelo amico. E’ inutile piangersi addosso, bisogna sempre trovare la forza di rialzarsi, anche nelle situazioni più difficili e tragiche. Trovare il positivo anche nei contesti più critici. C’è una citazione, del Dalai Lama, alla quale io sono molto legato: “Nessuno è nato sotto una cattiva stella; ci sono semmai uomini che guardano male il cielo.”
Qual è stato il momento in cui ha sentito di aver finalmente trovato la sua strada nella vita, nonostante le avversità?
Penso che il momento determinante sia stato quando, senza diploma e senza il minimo di esperienza e conoscenza, ho iniziato ad apprendere il lavoro di odontotecnico. Si ricollega alla domanda precedente, ossia al fatto che il destino bisogna farselo amico. Non avevo ancora finito la terza media e un giorno tre odontoiatri, i fratelli Giannì, titolari dell’omonimo studio dentistico in Iseo, si presentarono a scuola chiedendo a noi studenti se ci fosse qualcuno intenzionato a imparare la professione dell’odontotecnico una volta terminata la scuola dell’obbligo. In quel periodo i dottori Giannì erano alla ricerca di almeno un aiutante da affiancare a Gino Sora, colui che poi mi insegnerà con grande abilità e pazienza il lavoro. Erano in difficoltà, non trovavano nessuno, il lavoro da fare era tantissimo e il povero Gino non ce la faceva più, era sull’orlo dell’esaurimento nervoso e voleva licenziarsi. Nessuno di noi studenti accettò, per il semplice motivo che nessuno sapeva che lavoro fosse l’odontotecnico. Qualche mese dopo, con le scuole finite ed io che ero in una fase di depressione per il fatto che non vedevo nulla davanti a me, grazie a uno degli angeli custodi, così li definisco io, che sono stati determinanti nelle mia vita, ossia il signor Nespola, vicino di casa dei dottori Giannì, venni presentato ai dottori, con delle referenze dignitose: ero sì handicappato, ma avevo grande voglia di apprendere, grande volontà ed ero persona seria e affidabile. Inoltre la mia famiglia era preoccupatissima perché non sapevano che lavoro farmi fare per via della mia disabilità. I dottori accettarono, io mi ci buttai con tutte le mie forze e con tutta la passione che potevo avere. E’ stata la mia rivincita, da lì ho iniziato un percorso fatto di duro lavoro, diurno e notturno, che mi ha fatto conoscere e apprezzare sia dai clienti che dai vari odontoiatri, al punto di diventare insostituibile e molto richiesto. Il lavoro di odontotecnico è quello che mi ha consentito di passare dalla miseria dell’infanzia e dell’adolescenza alla agiatezza economica della maturità.
Esiste un episodio particolare della sua vita che ritiene emblematico della sua forza e resilienza?
Penso che non ci sia un episodio in particolare, forse quello appena citato, ossia il momento in cui vengo indirizzato alla professione di odontotecnico. Ci sono tantissimi momenti, alcuni apparentemente insignificanti, che uniti l’uno all’altro vanno a costruire una sorta di DNA della resilienza, una corazza. I quattro anni di degenza all’ospedale di Venezia, lontanissimo da casa, con la famiglia che non poteva venirmi a trovare da tanto che era povera, il padre che muore tragicamente a 39 anni per un incidente sul lavoro, il tutto in un periodo in cui c’era la guerra. Questo potrebbe essere considerato il periodo più duro, ma ero giovanissimo, quando sono entrato in ospedale avevo quattro anni, mio padre non l’ho conosciuto, non mi rendevo neppure conto di ciò che mi capitava attorno, addirittura ero convinto che la madre di un coetaneo vicino di letto fosse la mia mamma.
In che modo la vita nell’RSA ha influenzato la sua scrittura e il suo modo di vedere il passato?
Sono entrato in RSA nel settembre 2020, insieme a mia moglie. La struttura per anziani, era stata decimata dal Covid e si erano liberati tantissimi posti, quando invece prima c’erano delle liste d’attesa lunghissime. La trilogia del GIOVANE GIOVANNI ha come figura centrale mia moglie.
Siamo sempre stati uniti, inseparabili. Ci siamo sostenuti nelle reciproche disabilità e invalidità. La sofferenza più importante che ho subito nella mia adolescenza è stata quella di non riuscire a trovare un amore, la dolce metà, una donna con la quale condividere gioie e dolori, a causa della mia invalidità. Quando ho conosciuto mia moglie non ci siamo più separati. Prima è entrata lei al rricovero, e dopo qualche giorno io l’ho voluta seguire. Siamo stati insieme fino alla morte, anzi, fino quando l’alzheimer che l’ha colpita ha fatto sì che non mi riconoscesse più, e lì è stata probabilmente la sofferenza più grande. Una volta deceduta mia moglie, quasi subito sono venute a mancare anche mia sorella e mia cognata, anch’esse ricoverate nella stessa struttura. In quel momento ho capito che non avevo più alcun riferimento della mia generazione col quale confrontarmi, ricordando i tempi della giovinezza. Ero rimasto solo. Nella struttura dove risiedo sono tra i pochi ad essere ancora lucido. Inizialmente passavo le giornate giocando a dama con l’unica persona che era in grado di farlo, fino a che anch’essa è passata a miglior vita. Non sono mai stato una persona loquace, e una volta rimasto solo ho preferito dedicarmi alle parole crociate e all’enigmistica, fin quando un giorno ho avvertito questo fortissimo desiderio di scrivere la storia della mia vita, da lasciare a mio figlio, ai miei nipoti e a chiunque vorrà leggerla. Penso che ognuno di noi dovrebbe avere la possibilità di scrivere il libro della propria vita da lasciare alle successive generazioni, come esempio di vita, per far conoscere il mutare dei tempi, della storia, di sentimenti come l’amore, la solidarietà, la famiglia, il rispetto. Io ho avuto la fortuna di avere mio figlio che è molto bravo a scrivere, ha ideato un periodico locale tredici anni fa e ancora lo conduce, scrive racconti e romanzi. Mi sono affidato a lui, proprio ora che la mia vita è quasi giunta alla fine, quando invece durante tutta l’esistenza ci siamo parlati pochissimo. Prima gli davo fogli sparsi colmi di appunti, poi sono passato ai quaderni. Alla fine ho scritto dieci quadernoni, tutti rigorosamente in stampatello.
Se dovesse scegliere una sola parola per descrivere la sua vita, quale sarebbe e perché?
Direi “Esemplare”, nel senso che mi piacerebbe che questo mio viaggio, ormai giunto al termine, fosse preso ad esempio da chi soffre l’emarginazione, la solitudine, il bullismo, per via di una disabilità. Io, per fortuna, ho dovuto subire pochissime volte queste umiliazioni, ma è anche vero che la solidarietà, il senso di appartenenza e della famiglia che c’era ai tempi in cui ero bambino o ragazzo, non sono più gli stessi di oggi. Mi piacerebbe che questo libro venisse letto nelle scuole. Non è un romanzo cupo, si respira sentimento, commozione, emozione, ma c’è anche tanta ironia, e su tutto il senso di rivalsa e quella fiducia che non deve mai venir meno, qualsiasi cosa accada.
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