15 Novembre 2024

Zarabazà

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L’omaggio a Laura Rosso, artista eclettica, romana, ricercatrice dell’essenza

Quando un artista riesce a lasciare un segno della sua opera, questa diventa eterna. Aiutata dal ricordo di amici ed estimatori, i colori delle sue opere non sbiadiscono ma assumono una nuova luce che ne rigenera l’estro e la diversità, l’originalità, il senso profondo.

Chi era Laura Rosso

Nasce ed opera a Roma. Dopo gli studi classici e la Laurea in Storia dell’Arte, si dedica agli studi filosofici, in specie di filosofia del linguaggio.

Abituata sin dalla tenera età a costruire immagini colorate e a dipingere astrazioni colorate, trova nella ricerca artistica una dimensione propria; dapprima è il lavoro nel teatro sia come attrice che come aiuto-regista, poi la ricerca artistica più diretta. Si collocano come pietre miliari nella vita di Laura due viaggi-ricerca in America e India oltre alle sollecitazioni del Wittengstein delle “Ricerche filosofiche” e dell’Heidegger dei “Sentieri interrotti”. Dopo la fase dei grandi teloni rosso-nero-oro, negli anni 90-93 lavora sul segno utilizzando elementi primordiali e naturali (falci, roncole, legni, foglie) tenuti assieme da legacci; infine, la spinta ad una maggiore libertà, la porta a ritrovare materiali e segni “leggeri”. Sue opere sono conservate al Museo Laboratorio dell’Università di Roma.

Riportiamo un breve tratto identificativo e riassuntivo dell’evento tratteggiato da Diana Daneluz.

Una mescola di pitture e testi, poetici e non, della stessa artista e di altri, per ricordare e offrirle in questo modo un sentito omaggio, Laura ROSSO. E così Francesco Gallo Mazzeo, Luca Verdone e Giancarlino Benedetti Corcos e a leggere- interpretare i testi di Laura Michela Cauro, Massimo Fedele e Massimo Napoli, e poi Pierluigi Albertoni, Mariapia Ciaghi, Enzo Barchie Andrea Tabrini. Tutti insieme hanno parlato, letto e scritto di lei e mostrato ancora una volta esempi della sua arte ibridata da performances, rappresentazioni teatrali, segno e scrittura. Nella sua Roma.

Ne è emerso un ritratto ulteriore che ulteriormente la racconta. Gli studi classici, la storia dell’arte, poi il teatro, tra recitazione e regia, e dopo la pittura, le geometrie rosso-nere, l’oro su nero, i materiali naturali, i legni marciti e le foglie legati insieme, persino lame e roncole, e il tratto invece da ultimo più leggero. E poi la lingua, gli studi di filosofia del linguaggio prima, la prosa e la poesia di una scrittura urgente poi, mai appagata, mai paga.

Una mescola anche la vita artistica di Laura ROSSO, per ventinove anni condivisa con Giancarlino Benedetti Corcos con cui ha realizzato testi a quattro mani, pieces teatrali, improvvisazioni, happening e performances. Parole ad attraversare tele – a volte, volutamente, stracci – e viceversa. Sperimentazione e originalità come segni distintivi di un’arte nota, e anche raccontata dai grandi critici come Achille Bonito Oliva – ma hanno scritto di lei anche A.C. Anselmi, V. Apuleo, A. Arevalo, P. Balmas, L. Cherubini, A. Cochetti, M. de Candia, A.C. Erotico, E. Gallian, T. Macrì, B. Martusciello, R. Perfetti, L. Pratesi, L. Scialanga, A.E. Rossi, P. Roccasecca, E. Torelli Landini. U. Scrocca – epperò fuori-sistema, libera, veicolata lungo i binari di una Ferrovia che non necessariamente porta da qualche parte. “Impariamo a fare i dispetti – scrive ne “La marmellata” la stessa Laura – cioè, a fare tutto l’opposto di ciò di cui siamo sempre stati abituati a fare…”.

Nasceva a Roma, Laura Rosso, a Roma apparteneva – “…Mi allevava sana, ero libera nei sentieri, nutrimenti migliori, i Fori imperiali…” –, e a Roma si aggirava e con essa dialogava per “indagare e verificare la funzione dell’arte nella contemporaneità attraverso ricerche che utilizzano canali di diffusione in modalità progettualmente mirate”. A Roma, diverse sue opere conservate al Museo-laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università La Sapienza, con l’allora direttrice Simonetta Lux, ora diretto da Ilaria Schiaffini, spazio dinamico e aperto alle molteplici forme visive, letterarie, plastiche, museali, teatrali, cinematografiche e architettoniche dell’arte. Arte trasversale la sua, per questo inclusa spesso e volentieri in mostre collettive che celebrano la diversità nell’arte, arte come viaggio, lungo ed esperienziale, il cui tracciato non è prevedibile come non lo possono essere gli umori e le sensazioni che susciterà, che parla a un pubblico non sicuramente ricettivo, costretto a confrontarsi con una matrice stilistica mai uguale a sè stessa. 

Serve immaginazione all’artista. Oltre al suo sguardo, sempre unico, sul mondo, gli abbisogna la fantasia. Luca Verdone – che scrive di un suo incontro fortuito e “prodigioso” con Laura Rosso e Giancarlino durante la presentazione di un suo film a Roma – parla della poetessa-artista come dotata di “una fantasia circense”, funambola incline agli azzardi, “spirito errabondo” che mescola, torna questa parola come necessaria, le poesie alle illustrazioni, le parole ai segni, le geometrie dei grandi teli a fondo nero ai materiali deperibili supporto di successive opere, l’oro al colore, echi di pitture rupestri e tratti avanguardistici. Verso il mondo sentimenti alternanti legge in lei chi l’ha conosciuta, su tutto la rabbia verso l’indifferenza di una società alienante e poco empatica. 

Tante le mostre e le rassegne cui Laura Rosso ha partecipato, nel periodo che va dal 1989, alla Libreria Fahrenheit, al 1997-1998 all’Art Gallery Internet, e in mezzo tante occasioni in Italia e all’estero. In continua ricerca “dell’essenza”. Sempre ne “La marmellata” traspare l’insofferenza verso le denominazioni, i nomi…”potrei chiamarmi tutti i nomi della terra quello che ricerco è l’essenza. Il nome spesso inganna. È togliere da un … un denominatore che frena…”.

Scrive un testo su di lei, per lei, dal titolo ACRONIE, Francesco Gallo Mazzeo, ad alludere forse agli eventi senza tempo costituiti dalle esternazioni artistiche lasciate dall’artista scomparsa: “…parole, immagini di un romanzo a puntate. Episodi che chiamano trame, imperfette ricerche, che cantano inni, folate alte ventose che fanno volare, tomi su tomi, colorate visioni…”.

La conversazione personale e artistico-letteraria di Laura Rosso e Giancarlino Benedetti Corcos, di cui si accennava, si interrompe bruscamente con la morte improvvisa di lei, il 13 marzo del 2012, in quel momento lui occupato a dipingere fiori lungo il muro di una scala, nella casa di un amico. Oggi il rosso dei petali appare scolato, verso il basso. Lacrime. Ventinove anni che lasceranno un segno definitivo e indelebile in lui e il desiderio di celebrare di Laura, però, sempre e continuamente la vita, coinvolgendo in questo sentimento amici, critici e artisti, sia che abbiano avuto l’occasione di conoscerla che non, spargendone ancora in giro foto, opere e scritti. L’amore è anche nel ricordo, nelle tracce inconsapevoli che ci lasciamo dietro, distratti. 

Orme, invece, per altri. 

Aggiungere altre parole appare superfluo. Lasciare fluire i pensieri osservando le opere di questa artista offre un viaggio nel nostro io più profondo, quello che forse neppure noi riusciamo a comprendere bene senza un aiuto fatto di colori e introspezione.