Disponibile da venerdì 1° novembre su OnePodcast
e tutte le principali piattaforme di streaming audio
Il regista Gabriele Muccino è l’ospite del nuovo episodio di “One More Time” di Luca Casadei (OnePodcast), disponibile da oggi, venerdì 1° novembre, su OnePodcast e su tutte le principali piattaforme di streaming audio.
Ai microfoni di Luca Casadei, Gabriele Muccino ripercorre le varie fasi della sua vita: dall’infanzia trascorsa in solitudine e influenzata dal rapporto conflittuale tra i genitori all’esordio della sua balbuzie, che ha segnato profondamente gli anni del liceo, facendolo sentire incompreso. Racconta poi del momento in cui ha capito di voler diventare un regista cinematografico e del percorso intrapreso per raggiungere il suo sogno, soffermandosi sui film che lo hanno reso famoso e su alcuni aneddoti divertenti avvenuti con attori che ha incontrato, come Al Pacino e Will Smith.
Sul rapporto conflittuale tra i suoi genitori: «C’erano molte liti in casa. Svegliarsi con le urla dei miei genitori che litigavano, mi ha lasciato un segno forte dentro, una cicatrice che poi ha compromesso in qualche modo anche la mia ricerca delle compagne o delle donne che avrei voluto amare. Le persone che mi attraevano tendevano a dominarmi, cioè io tendevo a farmi dominare, e stavo in questo gioco delle parti in cui era la donna che doveva dirmi cosa dovevo fare, che mi diceva dove sbagliavo, che mi biasimava. Andavo a ricostruire le dinamiche cha avevo assorbito in famiglia. C’erano sempre le stesse relazioni e le stesse dinamiche che si ripetevano nonostante cambiassi partner».
Sulla sua balbuzie: «Non ricordo come sia iniziata la mia balbuzie, ma a un certo punto ero alle medie e improvvisamente non riuscivo più a parlare, non riuscivo nemmeno più a dire il mio nome. È arrivata come uno schiaffo, mi ha accompagnato negli anni formativi di tutto il liceo come un handicap molto forte. Non riuscivo a parlare con gli altri, non riuscivo a dire chi fossi, a raccontarmi, a intrattenerli. L’unica valvola che trovai era il laboratorio teatrale della scuola. Ho sempre sentito che ero un pesce fuori dall’acqua e che nessuno riusciva a capire chi fossi».
Sul suo sogno di diventare regista: «Conoscevo il cinema perché c’era uno parrocchiale sotto casa dove andavo, come fosse un rifugio, quasi ogni giorno a vedere il film che proiettavano. Il cinema mi dava, mi faceva volare, mi faceva vivere delle emozioni che nella società non riuscivo a mettere in scena e a vivere (…) Avevo 18 anni, ho esordito a 30 anni. Quindi ci ho messo circa otto anni in cui non ho mollato un millimetro la presa dal fatto che io avrei dovuto esordire a 30 anni. Appena uscito da scuola, ho iniziato a fare tutto quello che dovevo per riuscire a diventare un regista di cinema, che era una cosa ambiziosissima. Mio padre la vedeva come andare sulla Luna. Mi sono applicato per fare tanti cortometraggi e quando mi sentii abbastanza solido, scrissi il mio primo film».
Sui film “Come te nessuno mai” e “L’ultimo bacio”: «“Come te nessuno mai” è uscito in pochi cinema. Fu scoperto dalla generazione che aveva quell’età. Ci fu un grandissimo scambio di VHS e poi anche DVD fatto nei salotti di casa, nelle classi e nelle aule magne. Diventò un cult movie (…) Quando feci “L’ultimo bacio” le sale si sono riempite talmente tanto che la gente non riusciva a entrare. Ho incassato 33 miliardi di lire, che erano tantissimi. La gente lo amò o lo odiò, faceva discutere, litigare. Ci trovavamo ancora in un periodo storico in cui non c’erano guerre, non c’erano conflitti e l’orizzonte era ampio. Si poteva fare un film anche su gente che tradiva e quindi aveva questo tipo di problematiche esistenziali di lusso».
Su quando Al Pacino non ha voluto fare un suo film: «Mi proposero un film con Al Pacino. Feci dei provini per trovare la ragazza che avrebbe dovuto essere l’allieva di cui questo professore Al Pacino si innamorava nel film. Rosario Dawson era perfetta. Celebriamo, la chiamiamo, lei stappa lo champagne. Lunedì mi chiamano: “C’è un piccolo problema, Al ha cambiato idea, vuole Penelope Cruz”. Lui non molla. Insito, vado a casa sua un Natale. Lui giocava a scacchi, mi siedo anche in una posizione di inferiorità: lui era su una sedia e io sul tappeto. La scacchiera era quasi metaforica in quel momento. Mi siedo e mi dice: “Senti ma tu lo sai cosa sono le nuances?” e io: “Non lo so Al”. Cambia faccia, chiama un certo Michael. Mi alzo, Michael si siede, riprendono a giocare e lì muore il film con Al Pacino».
Su Will Smith e il film “La ricerca della felicità”: «Eva Mendes aveva visto “L’ultimo bacio”, va a fare “The Hitch” con Will Smith e gli parla di questo film italiano che deve vedere a tutti i costi. Pochi mesi dopo lui fa un’intervista con il Corriere della Sera e per quattro quinti parla de “L’ultimo bacio”. Uno dei miei agenti americani era anche agente di Will Smith e gli ha chiesto: “per caso tu conosci questo regista italiano?” e lui risponde: “sì, lo voglio incontrare”. Lo incontro a Parigi e gli dico: “io da fuori posso raccontare il sogno americano meglio di un americano”. Lui ci crede, vengo convocato a Los Angeles, incontro questi qua della Columbia e non mi vogliono. Passano dieci giorni e mi dicono che Will Smith si è talmente incazzato perché non mi volevano che gli ha detto: “o prendete questo ragazzo o io vado a fare il film con la Warner”».
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