22 Novembre 2024

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Cicloni tropicali: conoscerli migliora le previsioni nel Maritime Continent

I cicloni tropicali dell’Oceano Pacifico Occidentale influenzano la siccità negli arcipelaghi del Sud-Est asiatico, riducendo l’umidità nell’area con i venti da loro indotti. Un nuovo studio della Fondazione CMCC illustra cause e implicazioni del fenomeno.

I cicloni tropicali sono attori importanti del sistema climatico terrestre. Mentre la letteratura ne studia solitamente il ruolo nel determinare eventi alluvionali e indurre precipitazioni, un nuovo studio condotto dalla Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici rileva per la prima volta la loro capacità di indurre siccità in regioni diverse da quelle che attraversano. La causa del fenomeno risiede nelle anomalie che i cicloni inducono nei venti che lambiscono le regioni limitrofe a quelle in cui si sviluppano.


Attraverso dati osservativi relativi al periodo 1979-2015, lo studio dimostra infatti che i cicloni tropicali dell’Oceano Pacifico Occidentale (i cosiddetti “tifoni” nel caso delle più intense manifestazioni) non solo aumentano le precipitazioni nelle aree in cui transitano da giugno ad agosto, ma sono anche causa della diminuzione delle precipitazioni nel Maritime Continent (la regione tra Oceano Indiano e Oceano Pacifico che include gli arcipelaghi del Sud-Est asiatico), area non direttamente influenzata da essi. Il fenomeno è spiegato da un’anomalia di trasporto d’acqua verso Est nella regione equatoriale del Pacifico Occidentale, indotta dai cicloni tropicali che si sviluppano nel bacino.

“I venti indotti dal ciclone e che girano attorno al suo centro raggiungono i 200-300 km/h e spostano non solo la massa d’aria interessata, ma anche l’acqua presente nella massa d’aria stessa, coinvolgendo anche la periferia del sistema, fino a oltre 10.000 km dal centro del ciclone”, spiega il Dr. Enrico Scoccimarro, primo autore dello studio e ricercatore presso la Fondazione CMCC nell’ambito della Divisione Climate Simulation and Prediction. “In un ciclone tropicale dell’emisfero settentrionale, i venti disegnano una spirale concentrica, in senso antiorario. Pertanto, nella parte meridionale del ciclone, l’acqua viene spostata verso Est, mentre nella parte settentrionale del ciclone l’acqua viene spostata verso Ovest ”.

Questo fenomeno determina uno spostamento a Est dell’acqua che sarebbe appartenuta alla colonna atmosferica del Maritime Continent, riducendo così l’umidità dell’area: l’effetto è che, negli anni in cui si verifica un maggior numero di cicloni tropicali, la zona è meno piovosa perché c’è una minore disponibilità d’acqua.

I risultati dell’osservazione sono stati confermati da esperimenti numerici che hanno utilizzato il Modello di Circolazione Generale ad alta risoluzione sviluppato dalla Fondazione CMCC (CMCC-CM2-VHR4). “Utilizzando uno dei tre modelli al mondo in grado di risolvere i tifoni intensi, grazie alla sua elevata risoluzione orizzontale di 25 km sia in atmosfera che nelle componenti oceaniche”, spiega Scoccimarro, “siamo stati in grado di escludere altri fattori esterni che avrebbero potuto interagire sia con l’attività dei cicloni tropicali che con le precipitazioni del Maritime Continent, come ad esempio l’oscillazione meridionale ‘El Nino’”.

Lo studio evidenzia come prevedere l’attività dei cicloni tropicali nell’Oceano Pacifico Occidentale aiuti a prevedere l’inizio e la durata della stagione secca nel Maritime Continent e come tali previsioni abbiano importanti implicazioni, poiché è proprio in quest’area che nascono i processi convettivi più profondi che muovono tutta la circolazione atmosferica globale.

Futuri sviluppi di questo lavoro esamineranno se tale fenomeno indotto dai cicloni tropicali sul Maritime Continent possa applicarsi anche in altri bacini.

L’articolo, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), è intitolato “The typhoon-induced drying of the Maritime Continent”. Autori sono Enrico Scoccimarro, Silvio Gualdi, Alessio Bellucci, Daniele Peano (Fondazione CMCC), Annalisa Cherchi (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – INGV), Gabriel A. Vecchi (Università di Princeton – New Jersey) e Antonio Navarra (Fondazione CMCC). DOI: 10.1073/pnas.1915364117.