Sergio Martini, scrittore apprezzato e sapiente, è ritornato da pochissimo sulla scena editoriale con un nuovo lavoro: “Ritorno a Sukut” (Felici Editore), nella collana AcquaRagia diretta da Antonio Celano.
Laureatosi in Giurisprudenza, Sergio Martini è nato a Carrara nel 1985. Nonostante non si dedichi alla scrittura come lavoro principale e sia solo al suo secondo romanzo, è da molti addetti ai lavori già considerato una promessa letteraria. Con la sua prima opera, “Vascelli di carta”, si era classificato in testa, ben prima della sua pubblicazione, al premio «Gli Inediti 2019» di Sarzana e, sempre nello stesso anno, al premio letterario internazionale «Città di Pontremoli – Sezione narrativa inedita».
Grande attesa da subito, pertanto, per questa sua seconda prova.
“Ritorno a Sukut” è un romanzo potente e visionario, un’allegoria psicologica e delirante dov è tutto il nostro Novecento con le sue inquietanti ombre storiche, psicologiche, generazionali e individuali. Dalla soluzione obbligata. Un romanzo che ci pone – come scriveva Friedrich Nietzsche – di fronte a quell’abisso che, quando guardato, inesorabilmente ci guarda. Illusione e disillusione, la natura della libertà, il peso del passato, l’ambizione ed i suoi limiti: il lettore si troverà a fare riflessioni personali sulla propria vita, riga dopo riga, e a introiettare alcune citazioni chiave presenti nel libro.
“Il titolo “Ritorno a Sukut” è ambiguo: a quale ritorno si riferisce?
Rispetto alla impostazione tradizionale, il ritorno a cui si riferisce il titolo del romanzo non rappresenta la conseguenza dell’impresa, ma è esso stesso l’impresa come come fu – scomodando i classici- per Ulisse l’epico viaggio verso la sua Itaca. È un “ritorno” ai propri intenti, alle ambizioni sopite. Un ritorno ai propositi di noi da bambini, dopo le delusioni vissute col passaggio all’età adulta, ma non solo: il protagonista è mai stato a Sukut? Lo scopriremo solo leggendo.
Quale ruolo gioca il diario del protagonista nel romanzo?
Il diario è l’epifania che desta il protagonista risvegliandolo come da un lungo sonno. Il suo ritrovamento, tra le scartoffie della casa, risveglia in lui ricordi sopiti e gli rammenta tutti i propositi della sua adolescenza. Dov’è finita tutta quella ambizione? Dov’è finito quel bambino affamato di avventura? Si chiede. Domande che innestano riflessioni; riflessioni che sbuffano sul castello di carte che il protagonista aveva minuziosamente eretto attorno alla sua vita, credendolo di pietra. Il diario, in un certo senso, è il reale biglietto per il treno diretto a Sukut.
Quali sono le diverse concezioni di libertà presentate nel romanzo?
Il tema della libertà rappresenta il fulcro attorno al quale il romanzo ruota. La libertà in tutte le sue accezioni, in tutte le sue più disparate sfumature. Dalla libertà intesa nella sua concezione canonica di insieme di diritti, a quella religiosa, alla libertà sentimentale ed infine a quel moto che ci consente di sbrogliare le catene che ci trattengono ad esistenze che non ci appartengono più. Nel lungo viaggio che lo condurrà a Sukut, il protagonista dovrà confrontarsi con ognuna di esse, una fermata alla volta.
Il Kesa è un eroe o un impostore?
Non posso rispondere a questa domanda, il rischio di spoiler è troppo alto. Non sappiamo nulla di lui. Non si conosce l’identità, l’aspetto fisico e i suoi reali intenti. Ha soverchiato il precedente regime guidando la rivolta, e adesso? Avrà portato la democrazia tra i vicoli di Sukut o solo altre gabbie per libertà ormai logore? Queste le domande che consumano il protagonista, mentre trascina sospinto dall’impeto fornito dal diario il suo corpo disidratato, tra deserti, steppe e risaie. La risposta la scopriremo assieme a lui.
L’ambientazione a Sukut è funzionale alla narrazione o il romanzo potrebbe essere ambientato in qualsiasi altro luogo?
Sukut è per il protagonista da bambino la meta di un utopico ed ambizioso viaggio, sognato prima e pianificato poi minuziosamente. Da adulto, invece, diviene il suo pretesto per la fuga, dopo una profonda introspezione. Sukut è pertanto un luogo imprescindibile ai fini della narrazione, in quanto è tale agli occhi del protagonista che, risvegliandosi dal torpore di una vita mediocre, vede nella liberazione di quella città l’ultima speranza di redenzione.
Che ruolo hanno i personaggi secondari nel romanzo?
Sono tali solo per il tempo a loro dedicato. In realtà, il loro ruolo è di assoluta centralità per lo sviluppo della storia. Il romanzo si sviluppa infatti prevalentemente nella forma del dialogo, un dialogo a due tra il protagonista e l’interlocutore di turno che cambia di fermata in fermata. Ognuno di essi è portavoce di volta in volta di sempre diverse tematiche che afferiscono all’esistenza umana, aprendo dibattiti che accendono nuove riflessioni per il protagonista. Tanti Virgilio quante le resistenze di un protagonista più reticente di Dante.
Quali sono i temi principali trattati nel romanzo, oltre alla libertà?
Come detto, il lungo viaggio attraverso la steppa con direzione Sukut offrirà campo fertile per una lunga introspezione da parte del protagonista, stimolata di volta in volta dalle riflessioni dell’interlocutore di turno. In questa corsa su rotaie, sia fisica che psicologica, si toccherà il tema dell’ambizione, attraversando il lago prosciugato di Aral; poi quello dell’apparenza, passeggiando tra i vicoli di Jana Pearl, città dalle facciate di carta, per proseguire ai temi della fede, delle responsabilità e tanti altri ancora.
Qual è il tuo stile di scrittura ?
Sono cresciuto scrivendo poesia e questo, probabilmente, ha influito significativamente nell’evoluzione del mio stile, e può riscontrarsi ad esempio nel frequente utilizzo di figure retoriche e nella preferenza verso periodi e frasi brevi. Una formazione, quella poetica, che mi supporta nelle descrizioni di carattere visionario che tanto mi sono care. Parlando invece di influenze letterarie, direi che la lettura dei testi di autori quali Fitzgerald, Calvino, Steinbeck e Baricco ha pesato in modo particolare sulla mia evoluzione. Le loro penne sono tutt’oggi per me fonte di ispirazione (e anche sana invidia).
“Ritorno a Sukut” è un romanzo pessimista o offre un messaggio di speranza?
“Ritorno a Sukut” offre un messaggio di speranza sin dal suo incipit: nonostante le scelte di una vita, nonostante le strutture con cui abbiamo costretto la nostra vita, nonostante l’età, ci sarà sempre un diario dove ritrovare noi stessi.
Lisa Bernardini
Altri articoli
Pupella Maggio: incontro con ritratto di Augusto De Luca
Il Dono del Natale
Luca Bizzarri in scena a Musikè con “Non hanno un amico”