15 Novembre 2024

Zarabazà

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L’Urlo’ di Munch: trovata la soluzione per evitarne lo scolorimento

È l’umidità, non la luce, il principale fattore di degrado dei
pigmenti gialli di cadmio impiegati dal pittore nel suo celebre
quadro. La scoperta è frutto di un’indagine condotta da un team
internazionale coordinato dal Consiglio nazionale delle ricerche.
Grazie all’utilizzo di metodologie spettroscopiche non-invasive del
Cnr Molab, e micro-analisi presso l’ESFR di Grenoble, si è giunti ad
un risultato che suggerisce le condizioni ambientali ottimali per
esporre l’opera, finora raramente fruibile a causa delle sue delicate
condizioni. Lo studio è pubblicato sulla rivista ‘Science Advances’

‘L’Urlo’, capolavoro, di Edward Munch realizzato nel 1910, principale
attrazione dell’omonimo museo di Oslo, potrà presto tornare ad essere
godibile dal pubblico, grazie ad uno studio scientifico che ne ha
rivelato la causa principale di deperimento: l’umidità. La ricerca
fornisce ai conservatori le indicazioni per esibire permanentemente il
dipinto in condizioni di sicurezza: l’esposizione a livelli di umidità
relativa percentuale non superiori a circa il 45% e mantenimento
dell’illuminazione ai valori standard previsti per i materiali
pittorici stabili alla luce, come il giallo di cadmio utilizzato nella
tavolozza.


Il risultato si deve ad un team internazionale guidato dal Consiglio
nazionale delle ricerche.
Dal 2006 il capolavoro è stato raramente esibito a causa del fragile
stato di conservazione, dovuto non solo a cause ambientali, ma anche
alla natura stessa dei pigmenti utilizzati e in conseguenza dei danni
subiti dopo il furto avvenuto nel 2004 che lo ha sottratto al Museo
per due anni.


Per ottenere il risultato ‘diagnostico’, sono state utilizzate presso
il Munch Museum di Oslo, le strumentazioni portatili, basate su metodi
non-invasivi di spettroscopia, della piattaforma europea Molab
(finanziata dalla Commissione Europea nel contesto del progetto
Iperion-Ch), un laboratorio mobile coordinato da Costanza Miliani,
direttrice dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc)
del Cnr; successivamente, presso l’infrastruttura europea Esrf
(European synchrotron radiation facility, Grenoble, Francia) sono
stati effettuati esperimenti con sorgenti ai raggi X su
micro-frammenti prelevati dall’opera. Lo studio è stato pubblicato in
‘Science Advances’.


Munch ha realizzato varie versioni di questa opera, tra cui i dipinti
datati 1893 e 1910, sperimentando nuove combinazioni di colori.
“L’artista”, spiega Letizia Monico ricercatrice presso Istituto di
scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” del Cnr di Perugia, “ha
miscelato diversi leganti, quali tempera, olio e pastello con pigmenti
sintetici dalle tonalità vibranti e brillanti per creare colori di
forte impatto. Sfortunatamente, l’ampio utilizzo di questi nuovi
materiali rappresenta una sfida per la conservazione a lungo termine
delle opere d’arte del pittore norvegese”.


Ma come si presenta la superficie del dipinto sotto la lente
scientifica? “La versione del 1910 mostra evidenti segni di degrado in
diverse aree dipinte con gialli di cadmio, una famiglia di pigmenti
costituiti da solfuro di cadmio” spiega la ricercatrice. “L’originale
colore giallo brillante di alcune nuvole del cielo e del collo del
soggetto centrale, appare oggi sbiadito. Nella zona del lago, le dense
ed opache pennellate di giallo di cadmio mostrano invece tendenza a
sfaldarsi”.


Le micro-analisi effettuate al sincrotrone hanno permesso di
individuare che l’umidità è una delle cause principali di degrado dei
pigmenti gialli di cadmio del dipinto. Infatti diversamente da quanto
si pensava, la luce ha un impatto irrilevante sul deperimento di tali
pigmenti rivelatisi più stabili alla fonte luminosa di quanto non
siano i gialli di van Gogh nella serie dei Girasoli, ampiamente
analizzati dallo stesso team Molab-Cnr. “Lo studio del dipinto è stato
integrato con indagini sui provini pittorici di laboratorio
invecchiati artificialmente, preparati utilizzando una polvere storica
ed un tubetto ad olio di giallo di cadmio appartenuto a Munch, aventi
composizione chimica simile al pigmento giallo del lago del dipinto.
Lo studio mostra che il solfuro di cadmio originale si trasforma in
solfato di cadmio in presenza di composti contenenti cloro ed in
condizioni di elevata umidità relativa percentuale; ciò accade anche
in assenza di luce”, aggiunge Letizia Monico.


La novità dello studio consiste anche nella integrazione di differenti
tecniche d’indagine con un approccio che potrà essere utilizzato con
successo per esaminare altre opere d’arte che soffrono di simili
problemi. Infatti, “esistono differenti formulazioni dei pigmenti
gialli a base di solfuro di cadmio. Esse non sono presenti solo nelle
opere d’arte di Munch ma anche in quelle di altri famosi artisti a lui
contemporanei, come Henri Matisse, Vincent van Gogh e James Ensor”,
continua Costanza Miliani direttrice del Cnr – Ispc.

Numerose le istituzioni coinvolte nella ricerca: l’Università degli
Studi di Perugia (Italia), l’Università di Anversa (Belgio), il Bard
Graduate Center di New York (USA), il sincrotrone tedesco DESY
(Amburgo) ed il Munch Museum (Oslo).