Un insegnante racconta la Didattica a Distanza attraverso la sua esperienza quotidiana nei giorni dell’emergenza sanitaria, spiega le difficoltà dell’insegnamento, quelle dell’apprendimento, e mostra una scuola in cui le differenze “di classe”, gestite e stemperate nell’aula fisica, sono esplose
“La scuola a distanza accentua gli aspetti classisti di cui, negli ultimi decenni, si era già ammorbata la nostra scuola pubblica. Non solo perché non arriva a tutti ‒ si calcola siano più del 6% del totale gli studenti isolati, esclusi, non connessi. Ma perché tende a riproporre gli aspetti più regressivi, sorpassati e deleteri dell’educazione e della formazione: i compiti, l’interrogazione a tu per tu, l’insegnamento frontale. Cioè quello che serve a salvare la forma e la burocrazia (i voti, le certificazioni) di fronte alle famiglie degli utenti. Il famoso pezzo di carta.
È probabile che la didattica on line, nei suoi step di ricerca più avanzati, si coniughi con una teoria pedagogica all’avanguardia. Purtroppo non accade così, oggi, in Italia. Perché accentua l’esclusione sociale e culturale. Con un ricatto molto semplice: o così, o niente”.
Cos’è accaduto nel mondo della scuola durante l’emergenza sanitaria? Siamo sicuri che la Didattica a Distanza non diventerà una modalità parallela a quella tradizionale per lungo tempo, o per sempre? E come si potrà gestire quando i genitori potranno ricominciare a lavorare? Cosa significa insegnare attraverso uno schermo? Quali sono i criteri di valutazione che si possono adottare, come si può interrogare, qual è il rapporto con i genitori, come viene gestita la privacy rispetto ai dati che si consegnano nelle mani delle piattaforme private? E soprattutto: cosa accade agli alunni che non hanno un computer a casa, cosa accade a quelli nei campi nomadi, cosa accade nelle abitazioni in cui vivono tre ragazzi in età scolare?
Certo è che un’istruzione così di classe non si vedeva da prima della Scuola media unificata nel 1963. E come don Milani ha spiegato quel sistema non democratico in Lettera a una professoressa partendo dalla propria esperienza, così fa Giuseppe Caliceti, maestro elementare e formatore da oltre trent’anni, in questo libro.
Cominciando dal primo giorno di chiusura delle scuole, fino all’ultimo dell’anno scolastico, il 6 giugno 2020, Caliceti racconta la sua vicenda, e attraverso la quotidianità di insegnante riflette su quello che accade in Italia: i collegi docenti, le emozioni dei bambini, le decisioni del ministro all’Istruzione, il ruolo di mamme e papà…
E scopre che il processo di aziendalizzazione e privatizzazione già in atto è stato velocizzato dalla pandemia, e che la scuola pubblica così come l’abbiamo conosciuta fino ad ora rischia di scomparire.
Un libro che riguarda tutti noi, che si sia genitori, insegnanti, o semplicemente interessati al rispetto della Costituzione italiana quando all’articolo 34 recita “La scuola è aperta a tutti”.
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