Dopo la proiezione del documentario “La Ruota del Khadi”, Tara Gandhi Bhattacharjee ha partecipato a un incontro con il pubblico insieme alla regista Gaia Ceriana Franchetti partendo dal significato culturale del Khadi, stoffa indiana della non violenza
Firenze — “Un ricordo accomuna tutti i momenti insieme a mio nonno, Mahatma Gandhi: bastava sedersi accanto a lui per percepire delle vibrazioni positive. Era un uomo di una tale intensità spirituale che soltanto standogli vicino trasmetteva delle vibrazioni profonde, non era possibile accanto a lui sviluppare pensieri cattivi, perché questa era la forte influenza della sua spiritualità. Quando parliamo di Gandhi, non dobbiamo mai dimenticarci di sua moglie Kasturba senza la quale non sarebbe mai diventato quello che è diventato. Gandhi disse che la forza più efficace è il potere della madre, che si trova in ciascuno di noi, sia che siamo madri, che padri, figli, bambini: esiste dentro ognuno di noi”.
A parlare è Tara Ghandi Bhattacharjee, nipote del Mahatma Gandhi, figlia dell’ultimogenito Devadas, scrittrice, attivista e presidente del National Gandhi Museum, durante l’incontro pubblico, tenutosi online, a conclusione del 20/mo River to River Florence Indian Film Festival, l’unico festival in Italia che promuove la cultura e il cinema indiano di qualità.
Portavoce dell’eredità culturale e morale del nonno, Tara ha dialogato con il pubblico e con la regista Gaia Ceriana Franchetti, autrice de “La Ruota del Khadi – l’ordito e la trama dell’India”. Il documentario ripercorre la storia dal movimento del Khadi, creato da Gandhi come emblema della non violenza e della emancipazione indiana dall’Inghilterra. All’incontro, oltre alla direttrice del festival, Selvaggia Velo, ha partecipato a sorpresa anche Vinayak, figlio della signora Gandhi.
Sulla situazione della donna in India, Tara ha aggiunto: “La legge garantisce diritti alle donne ma è vero poi che non sempre viene applicata e questo avviene sia nell’india rurale che in quella urbana. L’india ha una popolazione enorme e quindi ci sono tante realtà diverse. La donna indiana ha molto potere all’interno della casa e in famiglia, ma si può ancora fare molto per la condizione delle donne nella società”.
“Il Khadi per me è il viaggio stesso della vita, un percorso pieno di avventure e avvenimenti. Mio nonno, originario del Sud Africa dove era già stato fautore di dimostrazioni e lotte non violente, scoprì il Khadi in India e capì subito che poteva essere un potentissimo strumento per l’indipendenza della gente indiana. Gandhi grazie al Khadi ha portato avanti un movimento delle popolazioni rurali indiane le quali, proprio nel periodo in cui non c’era lavoro nei campi, attraverso la filatura con arcolaio, poteva fornire loro un sostentamento durante i mesi di riposo dal lavoro nei campi. La filatura poteva anche dare loro un’autosufficienza senza ricorrere all’importazione di tessuti dall’estero, fatti con lo stesso filo indiano, con lo stesso cotone. Il Khadi divenne così il simbolo della non violenza portato avanti da Gandhi, proprio l’arcolaio, la ruota del Khadi. La particolarità del Khadi è che è filato e tessuto a mano. Se si conoscesse il vero significato di Khadi, verrebbe dato il giusto riconoscimento agli artigiani e artisti che lo lavorano e producono. La rivoluzione non violenta che Gandhi ha messo a punto prima di essere assassinato, si realizza nel termine Sarvodaya, che è lo spirito della filosofia di Gandhi ovvero il risveglio dello spirito umano in armonia con la natura”.
“La filatura è anche meditazione; fare filatura artigianale a mio avviso dovrebbe essere introdotto anche nelle scuole non come materia obbligatoria ma come materia facoltativa. Penso che se vogliamo avere un futuro migliore dovremmo educare anche le nuove generazioni ad un migliore pensiero. Purtroppo c’è ancora una grande distanza tra coloro che producono e coloro che acquistano il Khadi e questa è una distanza che va accorciata, avvicinando i produttori ai consumatori, aumentando la conoscenza e la consapevolezza di come questo tessuto viene creato”.
Ha aggiunto la regista Gaia Ceriana Franchetti: “Il mio desiderio di realizzare un film sul Khadi viene da un debito di riconoscenza per il Khadi stesso, che ha nutrito la mia vita di bellezza e aggiunto alla mia vita bellezza. Mi ha arricchito la mente e lo spirito di storia, di conoscenze e immagini. La gente che lo realizza, che vive in luoghi poco conosciuti dai turisti, fa dei veri e propri capolavori tessili. Dovevo fare questo film e per farlo avevo una sola possibilità ovvero ritrovare Tara Gandhi. La bandiera indiana ha l’arcolaio nel suo centro, la ruota che vediamo è un arcolaio, quindi l’indipendenza dell’india è celebrata nella sua bandiera anche in quello. Il Khadi è un movimento, oltre che un grande regalo che gli artigiani e artisti fanno all’umanità, che vorrei proporre come patrimonio dell’umanità UNESCO”.
Ha concluso poi Tara Gandhi: “Volevo fare le mie congratulazioni alla direttrice Selvaggia Velo per la scelta del titolo di questo festival River to River e con l’occasione volevo dire qualcosa sul Gange, che purtroppo viene spesso definito come un fiume inquinato mentre in realtà non dovremmo dire che il fiume è inquinato, che l’ambiente è inquinato, che la natura è inquinata, è la mente umana che è inquinata e che inquina e non la natura che inquina”.
Il River to River Florence Indian Film Festival si svolge con il Patrocinio dell’Ambasciata dell’India, sotto l’egida di Fondazione Sistema Toscana, ed è realizzato con il contributo di Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Cinema e Audiovisivo, Regione Toscana, Comune di Firenze, Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Il festival si avvale del sostegno degli sponsor Salvatore Ferragamo, Instyle, Unione Induista Italiana e Galleria di Lux; dei partner tecnici Hotel Roma, Fondazione Studio Marangoni, Mad – Murate Art District, Amblè, Cescot Firenze, Libreria Tatatà, e Pocket Films. La ventesima edizione del River to River Florence Indian Film Festival si avvale dei Media Partner Firenze Spettacolo e RDF.
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