In principio fu lo zolfo, giallo, greve, frammisto a gesso, bruciava facilmente e talvolta emanava un nauseabondo odore di uova marce.
Occupava quella parte centrale della Sicilia che costituisce il cuore dell’isola, e la concentrazione maggiore stava nel suo centro, tra le province di Caltanissetta, Enna, e Agrigento.
Già usato in agricoltura dalla notte dei tempi, e nelle prime industrie, ne abbiamo descrizione in diversi scrittori. Citerò qui Goethe, che nel suo Viaggio in Italia, riferendosi i al percorso che da Agrigento lo portava verso l’Italia, attraversò i Campi da Agrigento a Caltanissetta descrivendo il paesaggio costellato da calcheroni e a volte punteggiato da fumarole ( le “maccalubbe” o ” vulcanelli”, ancora oggi visibili vicino Caltanissetta) .
Come tutti i “principia” lo zolfo ha modellato tutte le attività umane ; mi propongo qui di percorrere a volo l’uccello tutte queste attività che apparentemente lontane dallo zolfo, ne sono state, nel bene e nel male, influenzate. Prendiamo i movimenti sindacali: le prime organizzazioni strutturate, furono i contadini e i minatori .
Molti scrittori lo hanno testimoniato, forse il più illustre, Pirandello, nei “Vecchi e i Giovani” ha descritto le agitazioni che a fine 800 sconvolsero al provincia di Agrigento.
Lo zolfo, peraltro, influì indirettamente nella poetica pirandelliana: la pazzia della moglie, la signora Portulano, fu dovuta all’allagamento della miniera di famiglia, in cui il padre aveva investito l’intera dote, rendendo la povera e disperata la figlia da un giorno all’altro e costringendo il giovane Luigi a vegliarla nelle notti che hanno dato vita ad alcuni capolavori.
Anche la più nota canzone del folklore siciliano ( vitti na’ crozza ) è in origine un mesto canto funebre, che si riallaccia alla tradizione minerari; modernizzata e snaturata dall’allegro trallallà, la storia della canzone è una amara riflessione su che cosa voglia dire ” Moriri senza toccu di campani “, cioè senza i Sacramenti.
Così morivano i minatori, vittime di incidenti, poiché nelle viscere della terra a contatto con materiale diabolico ( lo zolfo, nella tradizione cattolica è associato al demonio ) e perché appartenenti a organizzazioni sindacali, generalmente di matrice comunista, e perciò scomunicati.
Solo qualche prete, osava sfidare le gerarchie ecclesiastiche, fornendo una fugace benedizione davanti le Cappelle che costeggiavano le vie d’accesso ai siti minerari.
Ancora oggi sono visibili alcune di queste cappelle, sulla via di Trabonella, molto care alle generazioni dei minatori.
E che dire delle “colonizzazione” di industriali del nord Italia, all’indomani dell’unita’ d’Italia, che scoprirono il filone dello zolfo e in una sorta di migrazione al rovescio scelsero la Sicilia e Caltanissetta per la sede delle loro attività, rendendo questa citta una vera e propria capitale, bella, elegante, godibile.
Il viaggiatore attento passeggiando per il centro vedrà palazzi ben progettati e magnificamente realizzati, edifici pubblici, teatri, luoghi di socialità, spesso costruiti in pietra di Sabucina, cavata a mano da esperti scalpellini, la cui manualità nulla ha da invidiare agli artigiani ” nordici” esperti del bugnato rustico.
E se qualcuno vuole spingersi al Redentore e osservare una delle opere pubbliche realizzata negli anni 30, il serbatoio dell’acqua potabile, vedrà il manufatto “povero” realizzato con la stessa pietra delle ville e dei palazzi del centro, a riprova che anche i lavori pubblici venivano eseguiti per durare e per piacere.
A tal proposito torniamo alle miniere, più precisamente alle gallerie di discenderia; in alcuni dei siti visitabili, come Gabbara, affacciandosi alla discenderia, i conci di pietra sagomata che delimitano la volta e sostengono la galleria, sembrano quelli delle gallerie ferroviarie, manufatti costruiti per durare e resistere alle pressioni .
Ancora oggi nei siti aperti al pubblico ( Gabbara, Montedoro, Riesi, Floristella tra il pubblico e il parco di Stincone/ Apaforte, privato ) si possono ammirare vestigia di un mondo che rese Caltanissetta capitale dello zolfo.
Un figlio della città, stigmatizzava citta ed epoca con questo verso : ” Caltanissetta fa 4 quarteri; la meglio gioventù? li surfarari “. Ma altre peculiarità alcune delle quali perdurano, sono state condensate in detti popolari: ” Caltanissetta, tutta acchiana e scinni, scarsa d’acqua e carrica di buttani ” e questo detto, va spiegato e contestualizzato.
La citta sorge su un colle, per cui le scale; soffre, ancora oggi di atavica mancanza d’acqua, per cui scarsa d’acqua; poi, tra l’800 e il 900, ospitava … le più note case d’appuntamento della Sicilia, per via dell’alto tenore di vita e del continuo scambio con nord e con l’estero di tecnici, industriali, affaristi, imprenditori ecc. … ovviamente tale circostanza, unita al denaro che circolava, spiega l’ultima frase del detto.
Una descrizione della vita della città tra le 2 guerre si trova in un interessante libro del prof. Michele Curcuruto, ” i signori delle miniere “, che il turista curioso può leggere.
Oggi, la città sembra divisa in due tronconi; il primo, che ha dimenticato e rimosso per ignoranza o convenienza il glorioso passato che emerge nei palazzi, nei monumenti, nello spirito del luogo, nei monumenti, e un secondo gruppo che lotta per tenere in vita tale passato di capitale, non per museizzare la città, facendone una “ghost town”, ma per renderla viva e fruibile una storia che ha affascinato tutta l’Italia e che ci appartiene.
E se queste brevi note serviranno ad incuriosire qualcuno per rianimare la città, il suo museo, i suoi siti, ben venga!
Giacomo Fiocchi
Altri articoli
Lo scrittore Giankarim De Caro ospite della Libreria Nuova Ipsa a Palermo: un incontro con i lettori per dialogare su “Romanzo tascio-erotico siciliano”
Ritorna Panorama Sonori: il Concerto di Inaugurazione e il Workshop di Direzione d’Orchestra del M. Yoichi Sugiyama
I tesori della provincia di Brescia: alla scoperta del cuore della Valle Camonica