23 Novembre 2024

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Gli obiettivi dell’Accordo di Parigi potrebbero portare a 8 milioni di posti di lavoro in più

Figura 1: Aumenti e perdite di posti di lavoro per tecnologia energetica La figura mostra le variazioni del numero di posti di lavoro del settore energetico per tecnologia energetica, confrontando diversi scenari (vedi la descrizione sull'asse) e per diversi SSPs. Credit: Pai et al./One Earth

nel settore energetico entro il 2050

Un’approfondita analisi dei posti di lavoro del sistema energetico globale e dell’impatto delle diverse politiche climatiche ed energetiche, in uno studio realizzato da RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment in collaborazione con University of British Columbia, Vancouver, e Chalmers University of Technology, Gothenburg. Entro il 2050, i posti di lavoro nel settore dell’energia potrebbero crescere dagli attuali 18 milioni per arrivare a 26 milioni se rispettassimo il target di limitare l’aumento della temperatura globale a 2°C previsto dall’Accordo di Parigi. Politiche climatiche efficaci e stringenti aumenterebbero i posti di lavoro del settore energetico globale; mentre la maggior parte dei posti di lavoro nel settore dei combustibili fossili andrebbe persa con il tramontare di questo comparto, in molti Paesi questa perdita potrebbe essere compensata dalle nuove opportunità di lavoro offerte dal settore delle energie rinnovabili.

Attualmente, oltre 12 milioni di persone lavorano nei settori energetici del carbone, del petrolio e del gas naturale. Tuttavia, per mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C, un obiettivo definito dall’Accordo di Parigi, l’impiego di questi combustibili fossili deve drasticamente ridursi per essere sostituito dall’uso di fonti energetiche low carbon. Un tale cambiamento dei sistemi energetici avrebbe notevoli implicazioni, che vanno ben al di là del raggiungimento dei target climatici. Le ripercussioni più importanti si potrebbero avere nel numero di posti di lavoro del settore energetico, con lo scomparire delle vecchie industrie e il sorgerne di nuove, con variazioni nella localizzazione geografica e dei tipi di lavoro offerti dal settore energetico. Sebbene ciò sia tecnicamente possibile, se possa essere fatto abbastanza velocemente rimane una questione politica. Uno dei principali fattori a influenzare il supporto della politica alle politiche climatiche, in particolare nei Paesi ricchi di combustibili fossili, è l’impatto che queste ultime potrebbero avere sui posti di lavoro di questo comparto.

Uno studio realizzato da RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment (EIEE) e

appena pubblicato sulla rivista One Earth, mostra come politiche climatiche stringenti porterebbero a 8 milioni di posti di lavoro in più nel settore energetico globale entro il 2050, principalmente per gli aumenti nelle industrie del solare e dell’eolico, se rispettassimo il target di limitare l’aumento della temperatura globale a 2°C previsto dall’Accordo di Parigi.

“Attualmente, si stima che circa 18 milioni di persone lavorino nell’industria dell’energia – un numero probabilmente destinato ad aumentare, fino ad arrivare a 26 milioni di persone impiegate nel settore energetico -, se raggiungeremo i nostri obiettivi climatici globali”, afferma Johannes Emmerling, ricercatore a capo dell’unità Low Carbon Pathways di EIEE e corresponding author dello studio. “Il settore manifatturiero e quello delle rinnovabili potrebbero potenzialmente assorbire fino a un terzo del totale di questi posti di lavoro, per i quali i diversi Paesi potrebbero arrivare a competere anche in termini di localizzazione.” 

I ricercatori hanno messo a punto un nuovo database globale di fattori occupazionali per 50 Paesi per tecnologia e categoria lavorativa, e avvalendosi di un modello di valutazione integrata (IAM) hanno preso in esame l’impatto degli obiettivi climatici globali per rimanere “ben al di sotto dei 2°C” sull’occupazione nel settore energetico, considerando le diverse tecnologie e fonti energetiche, le tipologie di lavoro e le diverse regioni. In particolare, la loro analisi si è focalizzata sull’impatto delle variazioni del sistema energetico sui “lavori diretti”, ovvero su quei lavori che sono legati ad attività chiave per le catene di approvvigionamento energetico e che sono più strettamente correlati con la crescita e il declino delle tecnologie energetiche.

“La transizione energetica è studiata con modelli sempre più dettagliati, risoluzioni spaziali, scale temporali e dettagli tecnologici sempre maggiori”, aggiunge Emmerling. “Tuttavia, la dimensione umana, i temi dell’accesso all’energia, della povertà e anche le implicazioni per il mondo del lavoro sono spesso considerate ancora con un livello di dettaglio insufficiente. Con il nostro studio abbiamo contribuito a colmare questa lacuna mettendo insieme e utilizzando un grande set di dati, per molti Paesi e tecnologie, che potranno essere impiegati anche per altre applicazioni.”

Come evidenziano i risultati dello studio, nel 2050, della totalità dei posti di lavoro del comparto energetico per lo scenario “ben al di sotto dei 2°C”, l’84% sarebbe nel settore delle energie rinnovabili, l’11% in quello dei combustibili fossili e il 5% nel nucleare. Inoltre, mentre i posti di lavoro nel settore dei combustibili fossili, in particolare quelli del settore estrattivo, che costituiscono l’80% degli attuali posti di lavoro del settore, diminuirebbero molto rapidamente, sarebbero compensati da un aumento del numero di posti di lavoro nei comparti dell’energia solare ed eolica. Una grossa fetta (pari a 7,7 milioni nel 2050) della crescita del numero di nuovi posti di lavoro nel solare e nell’eolico sarebbero nel comparto manifatturiero, che non è soggetto a vincoli geografici, e che pertanto potrebbe portare a una competizione tra i Paesi per accaparrarsi questi nuovi posti di lavoro. I risultati dello studio mostrano come, a livello regionale, il Medio Oriente, il Nord Africa e gli Stati Uniti potrebbero essere interessati da un notevole aumento complessivo dei posti di lavoro del settore energetico, con l’espansione delle energie rinnovabili, mentre la Cina potrebbe subire una sostanziale perdita di posti di lavoro con il declino del settore del carbone.

Nell’Unione europea, gli autori prevedono un generale incremento dei posti di lavoro rispetto a oggi (sia per lo scenario “2°C” che per lo scenario di riferimento), ma la sua entità dipende dal percorso SSP (Shared Socioeconomic Pathways) adottato.

“Comprendere questi potenziali shift nel mercato del lavoro è importante”, scrivono gli autori nell’articolo. “In primo luogo, per quelle economie dove la produzione e l’estrazione di combustibili fossili sono importanti, il supporto politico per una transizione low carbon è sempre più polarizzata nel dibattito “lavoro vs ambiente/clima”, per cui diventa fondamentale conoscere l’impatto che le azioni per il clima potrebbero avere su quelli che sono spesso posti di lavoro politicamente rilevanti. Molti politici supportano il settore dei combustibili fossili per i posti di lavoro ad esso associati. Per fare un esempio, nel 2016 Trump nella sua campagna per le elezioni presidenziali ha fatto riferimento ai minatori di carbone 294 volte e ha fatto una campagna su una piattaforma per rilanciare l’industria del carbone e i posti di lavoro di questo comparto. Inoltre, i politici verdi e i gruppi ambientalisti affermano che intraprendere misure e azioni decise per il clima, come l’abbandono progressivo dei combustibili fossili, sia essenziale e vada di pari passo con una “transizione giusta” per i lavoratori del comparto dei combustibili fossili, che troveranno un nuovo impiego nel settore delle rinnovabili. Tuttavia, qualsiasi programma per una transizione giusta ha bisogno di sapere l’entità di questo spostamento di posti di lavoro da un settore all’altro, e il potenziale di posti di lavoro del comparto delle rinnovabili, in un’economia green”.