Fra le rassegne più attese, è innegabile che ci si auspicasse di leggere “Palco-Off” per l’offerta fuori dal comune, sempre di respiro decisamente internazionale e lavori in odore di premiazione.
Per la rassegna “Battiti”, ha avuto, dunque, inizio la 9.a stagione di Palco Off con Parole Mute 2.0, una testimonianza sull’Alzheimer, di e con Francesca Vitale (produzione la Memoria del Teatro). Regia di Manuel Renga, ripresa dall’originale messa in scena di Lamberto Puggelli; voci fuori campo di Paolo Bonacelli, Ottavia Piccolo e Tiziana Bergamaschi.
Parole Mute 2.0 è la naturale evoluzione del percorso emozionale e di consapevolezza dell’autrice, sull’esperienza personale raccontata nella prima edizione del 2009 ed insignita già al suo esordio dal premio Enriquez.
La scena è semplice: pochi arredi coperti da cellophane, ausili video proiettati al momento. Incuriosiscono foto che sembrano essere state scattate al Piper: molti fra gli spettatori bisbigliano e s’interrogano.
Francesca Romana Vitale compare sulla scena in agile costume nero e con i consueti modi che la contraddistinguono da anni, si rivolge al pubblico che gremisce completamente il Teatro del Centro di Culture contemporanee, e ci rende partecipi della sua storia, quella della sua famiglia, perché certe storie, sebbene parlino di uno, cambiano inevitabilmente le vite di tutti gli altri.
E’ ella bambina, ragazzetta, adulta in erba, legata a questa magnifica figura del padre, avvocato per undici mesi l’anno e viaggiatore curioso ed affamato di bellezza per i restanti trenta giorni: è troppo logorante il mestiere che svolge e poi egli ha un sogno! Un posto dove fare musica, dove invitare la gente a trascorrere serate gioiose. E nasce “Nigth al Castello” (svelato l’arcano), locale ad Acicastello frequentato dalla buona borghesia catanese ed attraversato dai cantanti più noti degli anni ’60: Domenico Modugno, le gemelle Kessler, Patti Pravo, “Zio” Fred Bongusto, Josephine Baker…e Francesca assisteva alle prove, osservava il respiro di quelle atmosfere e lo stupore di quel mondo sospeso sembrava non dovesse mai mutare. Amava ed ammirava il padre, ma egli la voleva avvocato e lei si voleva attrice: e lei diventò entrambe le cose, cominciando a camminare sulle strade che si era decisa di percorrere per affermare i propri talenti e non scontentare alcuno.
Viaggi nei luoghi più straordinari di ogni angolo di mondo; fruscii di abiti da sera e profumi di tabacco, tintinnii di bicchieri, musica ed applausi; odore di libri di diritto, carte e parole e poi… poi, un giorno, il silenzio, preceduto da parole incarbugliate, da notti insonni di sguardi persi nel buio, giornate a sonnecchiare in poltrona e quella fatica, grande a cercare di acciuffare le parole…sempre più complicato.
Francesca non è sola sul palcoscenico, ma in compagnia dei ricordi, rappresentati da foto, dischi, (uno con una dedica del padre), la musica sua e quella con cui era cresciuta al locale. Con pochi espedienti di scena, salta da un momento all’altro, cantando in francese, inglese, interpretando struggenti e vivaci note con una voce cristallina, morbida ed intonata: adesso è prima donna sul palcoscenico, ma quasi con pudore da quest’estasi si scuote per ricomporsi nell’impotenza. Voci ed immagini fuori scena, un vortice frastornato di consigli degli altri, delle parole mute del padre, degli interrogativi tristi della madre. E tutte le fasi, quelle risapute della lampadina che si spegne, tutte giungono a compimento. Il giorno di un’anniversario di nascita sarà da adesso anche quello dell’ultimo viaggio.
E Francesca riordina l’ambiente, rimettendo a posto ogni arredo, ogni oggetto, ogni ricordo.
L’ingresso nel dopo spettacolo di Renato Lombardo, dopo un’ovazione di applausi lunghi ed ininterrotti, rivela un pubblico dagli occhi gonfi di lacrime che le mascherine contribuiscono ad asciugare. L’attrice è doppiamente brava perché è riuscita a restare tale, a marcare d’interpretazione caratteriale il ruolo scritto per un dolore vissuto davvero. Non è stata Francesca Romana Vitale la figlia a raccontare, bensì Francesca Romana Vitale l’attrice che interpreta una figlia che perde un padre di straordinaria levatura, ogni giorno, un pochino per volta, nel modo più infame. Bravissima!
E non solo perché ha saputo cantare, ballare, dialogare con chi non c’era, abbracciare il vuoto facendocelo vedere denso; ma soprattutto perché ha portato in scena una ferita di tanti senza indugiare né sull’aspetto patologico o su quello emotivo. Alla fine, a tutti noi è sembrato di vederlo questo padre, un uomo elegante e sornione che si allontanava dal palcoscenico con un largo sorriso…
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