di FEMI KAYODE
Necklace killing, blackout, giustizialismo di strada: il romanzo d’esordio di Femi Kayode racconta la
pervasività del tribalismo e dei contrasti sociali e religiosi ancora presenti nel mondo africano
contemporaneo.
Un’indagine crime che si confronta con la complessità e le sfide della moderna Nigeria.
Lo psicologo investigativo Philip Taiwo viene considerato un esperto del comportamento e della violenza
della folla, ma come accademico è da sempre più interessato a capire il perché di un crimine che a risolverlo
effettivamente. È naturale, quindi, che quando un potente politico nigeriano lo contatta per indagare sulla
tortura pubblica e sull’omicidio di tre studenti universitari nella remota Port Harcourt, accetti il caso senza
esitare. Ma fin dal momento in cui scende dall’aereo, Philip si rende presto conto che l’omicidio dei tre
ragazzi non sarà così semplice da decifrare come pensava. Soprattutto perché gli anni trascorsi negli Stati
Uniti gli hanno fatto dimenticare le usanze nigeriane, le convinzioni, il tribalismo ancora forte che intride e
determina i legami umani. Con l’aiuto del suo fedele autista personale, Chika, Philip dovrà guardarsi le spalle
nel tentativo di scoprire la verità su ciò che è accaduto ai tre studenti. Ma più andrà avanti con le indagini,
più dovrà districarsi dalle convinzioni della comunità.
FEMI KAYODE (Lagos, 1960) ha studiato psicologia clinica al Kelly College, ma si è sempre dedicato alla scrittura. Ha
lavorato a lungo nella pubblicità e nella tv: è autore di programmi televisivi di grande successo e di sceneggiature
pluripremiate. Recentemente ha conseguito un Master in Crime Fiction presso l’Università dell’East Anglia, dove il suo
primo thriller, Il cercatore di tenebre, ha vinto il Little, Brown/UEA Crime Fiction Award. Vive a Windhoek, Namibia,
con la moglie e due figli.
«Le scene del crimine possono andare dall’ordine assoluto al caos più
allucinante. Cerco di ignorare il brusio all’aeroporto e riflettere sulle parole
del mio vecchio docente e mentore, il professor Albert Cook.
“La morte è un casino, Philip, ma morire è un merdaio.”
Prof, come lo chiamo tuttora affettuosamente, non ha mai aderito all’idea
che la scena di un crimine possa essere catalogata in uno schema preciso di
tipologie. Diceva sempre, “la gente fa cazzate ed è qui che si trovano gli indizi
per scoprire cos’è successo davvero”.»
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