Palco-Off è la rassegna surreale di Francesca Romana Vitale e Renato Lombardo, ripartita dopo oltre un anno di sipari chiusi e giunta alla sua nona edizione. Per i fruitori abituali, abbonati ed avventori, che hanno sempre avuto modo di apprezzare i contenuti delle loro rassegne, è nota la cura che impiegano nello scegliere lavori sui generis ed attori preparati che nella peggiore delle ipotesi vengono ammessi a rassegne e competizioni teatrali importanti con riverbero internazionale. Il risultato del loro meticoloso curiosare oltre le quinte è assai spesso intrigante e disvelante un approccio diverso col palcoscenico.
E’ il caso di Francesca Falchi che con lo spettacolo – “Santa Subito” – è stata finalista al ROMA COMIC OFF 2019; la stand up comedy è stata poi selezionata per il MILANO FRINGE OFF FESTIVAL 2019 e scelta come uno dei tre spettacoli candidati al Premio PALCO OFF.
Originaria di Cagliari, di età apparente assai al di sotto di quella che rivelerà subito, con lunghi capelli castano ramato, viso a punto interrogativo, incedere determinato delle donne sicure di ciò che di lì a poco andranno a ragionare, Francesca Falchi irrompe sulla scena inaspettatamente, senza bussare. Laureata in lettere, insegnante alle superiori, ha frequentato e si diploma alla Scuola di Teatro di Bologna; dotata di un carattere letteralmente esplosivo, ha verbo spigliato e gesti eloquenti, espressioni che portano a compimento i fatti da lei narrati. E narra amabilmente di sé, rappresentando tutto il buffo e serio che c’è anche nel quotidiano di ciascuno di noi. Il suo è un personaggio nato e cresciuto nel folklore di una famiglia unita che tiene le porte aperte alla parentela, un po’ come quelle in cui i nati negli anni ’60 sono cresciuti. Ci racconta le giornate trascorse con nonne, zie e cugine che un tempo costituivano le compagnie dei lunghi pomeriggi che si vivevano a casa, componenti principali delle “comitive” insieme ai vicini di casa. Ci racconta di uno spazio sociale più circoscritto in cui non esisteva il privato, la riservatezza era considerata un atteggiamento di diffidenza offensivo e anche piuttosto superfluo. In assenza di meccanismi informatici, erano i pettegolezzi sussurrati all’orecchio mentre si cucinava, cuciva e pregava che animavano cortili, pianerottoli, sagrato della chiesa. E i legami restano eterni, coesi; gli adulti della famiglia rispettati e considerati. Come la mamma, mezzo busto autorevole, quasi una icona mistica a cui indirizzare una richiesta di grazia, temendo al tempo stesso una reazione severa in nome della giustizia, divina e terrena.
Francesca Falchi opera un’ascesa temporale dai pannolini agli assorbenti, alla sparizione di entrambi che scrivono la conclusione di una fase ormonale diciamo esuberante ad una vita fra le lenzuola più selettiva ma spensierata. Gli aneddoti sono novelle scritte con un linguaggio esperto, sintatticamente corretto, forbito nella forma e nuovo nei contenuti. Sebbene sarde entrambe, se il primo accostamento può essere fatto alla bravissima conterranea Peppi Cucciari, Francesca Falchi in breve evidenzierà il proprio profilo ritagliato su spessori ricercati ed inediti: grazie alla cultura che la rende spigliata, padrona di contenuti e linguaggio, riesce a riportare i dettagli dei momenti di intimità che arrivano senza scandalizzare nella considerazione che il “buffo” è celato in ogni azione e che assumendo la consapevolezza che “leggero è bello” si può arrivare nel vissuto di ciascuno in maniera assai più diretta.
La sua comicità non è radical chic oppure urban style, è un assunto chiaro e diretto di ciò che l’attrice è: una donna cresciuta in un mondo percorribile, fatto di elementi di conversazione scaturiti dalla tradizione familiare, quando si andava a messa la domenica, i bambini andavano a scuola dalle suore, si frequentava il catechismo e si rispettava il Santo del giorno che poi se piuttosto famoso, nel richiamo alla devozione, era anche quello relativo ad una categoria precisa.
Parlare con immaginette, icone e statue oggi fa gridare alla religiosità compulsiva, nella quale tutti diventano esperti nel rintracciare forme patologiche di dipendenza. Senza considerare che gli spazi illimitati dell’ego dell’uomo s’interrompono laddove comincia la sua deferenza verso un santo che subentra per compensarli e per far sorgere qualche dubbio di plausibile utilità. E se ripensiamo a Don Camillo e Suor Angela che parlano con il Crocifisso (al primo risponde pure) e ci spolveriamo di dosso la malizia e l’aggressività, questo spettacolo ci lascia addosso il calore di quella mantellina ad uncinetto di colori diversi fatta con le rimanenze dei gomitoli di lana, che ci faceva sorridere ma che teneva anche tanto caldi.
Francesca Falchi, agile nel parlare alle persone di ogni età, riesce con grande astuzia e sagacia a raccontare e far ricordare il tempo in cui i cassetti dei comodini o anche delle dispense erano pieni di mazzi di immaginette tenute con l’elastico, ciascuna con una preghiera dietro, ciascuna per una grazia diversa. Affinché la Speranza portasse con sé sempre qualcosa di sacro e di profano.
Prossimo spettacolo di Palco Off:
o Centro Culture Contemporanee – P.le R. Chinnici, 6 – Catania
Sabato 12 Febbraio h. 21:00 – Domenica 13 Febbraio h. 18:00
PALCO OFF – per info e prenotazioni 342 5572121 – prenotazione@palcooff.it
“La scuola non serve a nulla 2.0” con Antonello Taurino e scritto a quattro mani con Carlo Turati, produzione del Teatro della Cooperativa (MI), è il nuovo spettacolo che andrà in scena da Zō Centro Culture Contemporanee sabato 12 (alle 21:00) e domenica 13 (alle 18:00) per la rassegna “Battiti” di Palco Off, con la direzione artistica di Francesca Vitale e la direzione organizzativa di Renato Lombardo,
Lo spettacolo è un viaggio tragicomico tra i paradossi della discutibile “Buona Scuola” di ieri e la “Scuola su Zoom” di oggi. Una valutazione attenta, ironica e dissacrante, sul mondo della Scuola, in cui Taurino veste i panni di un professore di una scuola di frontiera (in un quartiere multietnico di periferia) sospeso dal servizio per motivi non troppo chiari: strane tecniche d’insegnamento o forse il troppo stress?.
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