17 Novembre 2024

Zarabazà

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“La Pazza di Chaillot” al Teatro Stabile di Catania: quando il mondo non cambia

“Le Folle de Chaillot” scritta nel 1943 da Jean Giraudoux che a leggerne la vita, le opere e l’ingegno si rimane esterrefatti. Nato nel 1882, muore a Parigi nel 1944 all’età di sessantuno anni, “La pazza di Chaillot” viene rappresentato postumo, nel 1945. Uomo di cultura dalle frequentazioni scolastiche ed accademiche eccellenti, attivo durante la prima Guerra mondiale, a lungo svolge anche la carriera di diplomatico. E’ stato e rimane una delle menti più eleganti ed autentiche delle produzioni letterarie a cavallo dei due conflitti bellici.

Influenzato dalle preoccupanti contingenze in cui il mondo stava concludendo piegando rovinosamente nella guerra, Giraudoux non fa di esse il registro di sviluppo della sua drammaturgia, bensì la trasfigurazione attraverso un linguaggio affatto feroce, la rappresentazione attraverso figure per niente grigie e l’ambientazione nella vita quotidiana lontana dal fronte ma ugualmente dominata dalla guerra.

Letizia Russo

L’adattamento teatrale di Letizia Russo (classe 1982, contemporaneamente in scena con “Neve di Carta” all’Altrove Teatro Studio di Roma con Elisa di Eusanio ed Andrea Lolli) estende ad un solo atto i due scritti dall’autore, generando col cambio di scenografia comunque i due momenti della storia. La scena si apre su un prato in collina arredato con i tavolini di un bistrot all’aperto, il Cafe de l’Alma nel quartiere di Chaillot a Parigi; personaggi colorati e stravaganti, innocui certamente, che vanno e vengono, guardati con diffidenza da sinistri individui che occupano simmetricamente la scena.  Essi parlano d’affari con un linguaggio che predilige abbondante uso di sinonimi, organizzano qualcosa con l’ausilio di fondi economici, liquidità e forza di una infinita teoria di aziende modello scatole cinesi in cui essi occupano ruoli apicali. Parlano e decidono e si coalizzano all’insegna di un male per mezzo del quale raggiungeranno il proprio bene a discapito di quello altrui. E a discapito della città di Parigi nel cui sottosuolo avrebbero individuato il petrolio che altrove scarseggia.

Sospettati dalla dolce Irma, cameriera del bistrot, delle macchinazioni espresse senza ritegno a bassa voce viene informata la contessa Aurelia, eccentrica signora che tutti amano e rispettano, perduta in un mondo in cui non c’è posto per la volgarità ed il male. Ciò nonostante, si trova costretta ad ordire un piano nefasto, con la collaborazione di madame Constance e madame Gabrielle che riunisce in una sorta di conclave ridotto per decidere come intervenire.

Manuela Mandracchia (madame Aurelia) è davvero una contessa che esprime nei zingareschi indumenti la nobiltà soprattutto d’animo, una levatura morale ed intellettuale che riesce ad assimilare rendendole in ogni sorriso di incoraggiamento e in ogni piega di disvelata consapevolezza del male quando esso riesca a farsi breccia nel suo scudo elevato a difesa di un mondo da cui sono scomparsi affetti e punti di riferimento. Questo personaggio, a metà strada fra la fiaba e la cronaca popolare, è davvero “impunturato”, messo insieme come un bellissimo patchwork utilizzando rimasugli di stoffe bellissime nel ricordo di un passato ricco e pregiato.

Giovanni Crippa (Cenciaiolo), uno spaventapasseri animato, comunque elegante e compito. L’attore sfuma nella prima parte le caratteristiche che elaborerà con altra bravura quando presterà il volto ai carnefici per dare luogo alla pantomima/causa in un romanzesco tribunale organizzato dalla contessa, le altre madame e gli amici tutti del quartiere.

Evelyn Famà (madame Constance) è tutto ciò che è voluta sopravvivere rispetto al suo passato di avvocatessa, alla sua storia personale. Porta quasi sempre con sé, come il più tenero “coniglio di Harvey“, il suo amato cagnolino che appare e scompare, che anche le altre vedono… Nella seconda scena durante l’incontro con le due amiche, l’attrice da una sferzata a quello che a mio parere è un primo momento un po’ lento e slegato. Il folle brio e la competenza dei tempi comici con cui anima il suo frizzante ruolo guida e coordina tutta la fantastica conversazione per organizzare il piano che farà fuori i detrattori, risvegliando l’interesse.

Ester Galazzi (madame Gabrielle) recupera nel suo personaggio fatto di mantellina e ferri da lana tutto il tentativo della parte buona ed incolpevole del mondo di resistere e credere ancora, nella gentilezza, la galanteria. Anche lei trasformata in un abbigliamento ed un trucco che la rendono poco riconoscibile, è il contro canto della riflessiva madame Aurelia ed effervescente madame Constance.

Sarebbe complicato esperire per ogni attore una definizione a proposito del ruolo interpretato da ciascuno, ma è doveroso riconoscerne il valore e la rilevanza: i giovani che fanno parte dei buoni riescono ad entrare ed uscire anche da più di un ruolo con tanta bravura. Ed il gruppo di cattivi che opera in giacca e cravatta e dietro occhiali scuri certamente non si fa dimenticare in quanto ad emozione ed arte della recitazione: riescono così bene a rappresentare il paradosso del male rintracciato nel progresso e a declinarlo verso la guerra!

Forse la prima parte risente di un sottoinsieme di istanti che con un po’ di fatica riescono a concatenarsi, a discapito dei tempi narrativi che compiono dei salti e generano qualche piccolo rallentamento rispetto all’attenzione.

Scarne le scene, ma “acuti” i costumi. Acuti perché riescono a porre la forma del pensiero che animò l’autore nel 1943, quando la Seconda Guerra Mondiale era in atto: i cattivi vestiti di nero con bianche camicie, eleganti becchini in un conflitto che non trova compassione per le persone e per la Natura; finti gentiluomini ego-referenziati, invariati in ogni epoca. Gli abiti colorati dei buoni, farfalle in una primavera che stenta a sopravvivere e diventare estate; abbinamenti buffi per tentare di spiegare la follia degli altri e per recuperare un inno alla gioia malgrado tutto.

Tempestivo l’allestimento di questo magnifico lavoro.

“Per sempre” il pensiero di Jean Giraudoux .

Purtroppo.

Scritta da Jean Giraudoux, adattamento di Letizia Russo
Regia Franco Però
Interpreti: Manuela Mandracchia (la contessa, madame Aurelia), Giovanni Crippa (Cenciaiolo), Giulio Cancelli (Prospettore), Evelyn Famà (Constance), Emanuele Fortunati (Pierre), Ester Galazzi (Gabrielle), Mauro Malinverno (Barone), Riccardo Maranzana (Speculatore/Guardia), Francesco Migliaccio (Presidente), Jacopo Morra (Sordomuto/Jadin/Fognaiolo), Zoe Pernici (Irma), Miriam Podgornik (Fioraia/Piccola Risparmiatrice/Salvatrice), Davide Rossi (Martial)
Scene Domenico Franchi. Costumi Andrea Viotti
Musiche: Antonio Di Pof
Produzione: Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia / Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale