“Cerchi lei” è il nuovo singolo di Andrea Di Donna, un brano scritto tra aprile e maggio 2020, il primo della serie di brani scritti quello stesso anno, tra i quali “Cadillac”, “Fulmine” e “Senza destinazione”. Il brano presenta un andamento pop e allo stesso tempo inconsueto. Le soluzioni timbriche, escogitate con la partecipazione di Fabio Rizzo (Indigo Palermo) alle chitarre elettriche, plasmano uno scenario onirico tutt’altro che composto e si conciliano a pieno con il senso di urgenza e di drammaticità che il canto e il pianoforte, suonato dallo stesso artista, vogliono ispirare. Nell’introduzione fanno la loro comparsa suoni extramusicali che conferiscono alla storia quel realismo che le occorre per non smarrire del tutto il senso di realtà. È con l’ingresso delle chitarre acustiche, sull’inizio della seconda strofa, che penetriamo davvero nell’odissea dell’io.
Ciao Andrea, intanto ti chiedo cos’è cambiato dalla pubblicazione dell’ultimo brano a Cerchi lei?
Ciao! Fulmine e Cerchi lei sono stati prodotti quasi un anno fa presso gli studi della Indigo Palermo, in giorni vicini, quindi a livello di sonorità e sensazioni raccontano di uno stesso spazio tempo. In quei primi giorni di novembre non ero granché in forma e a Palermo pioveva sempre. Era tutto molto grigio, lo stesso grigio che secondo me emana dall’atteggiamento complessivo di queste registrazioni: una forza rudimentale grigia. Sembra una cosa brutta, ma non lo è affatto. Quando quello che fai riesce a rispecchiare come ti senti davvero, significa che è vero, e tutto ciò che è vero è bello. Di certo oggi sono diverso. A un anno di distanza posso dire che il volume delle mie urgenze si è alzato, sono sempre più consapevole di essere quello che sono e non voglio perdere tempo. Più capisco cosa voglio ottenere
davvero più salgono le paranoie perché mi rendo conto che è difficile e non voglio assolutamente arrendermi. Quando ti rendi conto che quello che hai è prezioso capisci anche quanto è brutto fare le cose male. Devono uscire le lacrime, devi renderti conto che hai una missione e ascoltare il presente ad alto volume in ogni istante della tua vita. Leggevo qualche giorno fa la storia di un disco dei My Bloody Valentine, Loveless, primi anni novanta, un mare di suono incendiario. La casa discografica del gruppo era convinta inizialmente che per produrlo sarebbero bastate poche giornate in studio, ci vollero invece 2 anni e 19 studi di registrazione prima che Kevin Shields, chitarrista e leader della band potesse dirsi completamente soddisfatto del risultato. Questo lavoro dell’arte è così, un continuo andare controcorrente rispetto alle previsioni pigre di chi non sta nella tua testa e il veleno non lo divora come divora te. Come scrisse Filippo Timi, attore geniale con cui ho lavorato anni fa, “tuttalpiù muoio”.
Rispetto alla copertina invece, sembra invece, quasi onirica, sembra quasi finta, ma so che l’avete scattata voi. Com’è nata?
Si tratta di una foto di Sofia Fioramonti. Non è stata scattata per il brano, ma appena l’ho vista ho ritenuto fosse perfetta per raccontarlo, soprattutto perché come hai giustamente specificato sembra quasi finta e questo mi piace perché crea un contrasto con la prepotente richiesta di vita avanzata dalla musica. L’immagine ha colori vivi e accesi e allo stesso tempo racchiude un profondissimo senso di desolazione, quella desolazione che non puoi risolvere senza metterti a urlare finché la parte più timida e pigra di te non esca fuori e incominci ad ascoltarti sul serio. Sofia non lavora se non lavora bene. Ora è in Messico e sta costruendo una carriera brillante.
Parliamo un po’ del singolo, c’è qualcosa che vorresti sottolineare particolarmente di questo brano?
Mentre ero in sala a registrare le voci guardavo la pioggia fuori dalla finestra, se non ci fosse stato quello scenario probabilmente sarebbe uscito fuori un lavoro senza vita. Non ho in tasca grandi narrazioni riguardo la genesi e la
produzione dei miei pezzi. Ma se quello che scrivo mi guarda negli occhi penso non occorra altro.
Un’ultimissima domanda è chiaro che il tuo progetto si ispira al cantautorato italiano, ma quali sono le tue referenze principali?
In verità non sono cresciuto con ascolti italiani, ma si queste canzoni nascono in un periodo in cui nel cercare la forma migliore per esprimermi ascoltavo molto Dalla e Rino Gaetano, non sono ancora riuscito a trovare altri artisti italiani che mi sorprendano come loro. Sono gli unici di cui faccio volentieri le cover quando ne ho voglia, altrimenti mi butto su Dylan e Cat Stevens.
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